A presto, Concita!
Il mio saluto a Concita De Gregorio, che lascia l'Unità


Ecco il mio saluto per Concita De Gregorio.
La Capitana non ha potuto pubblicarlo sull'Unità, per motivi su cui giova tacere, e allora eccolo sul blog di Loredana Lipperini (o qui in PDF).
Perché le storie accadono, questa è la buona notizia, perché le abbiamo lette per qualcosa, perché siamo qui tre giorni in questo mondo, e se ci siamo è per cagare in testa ai re.


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CAPITANA, SE CON QUESTA SPADA...

BRUNO TOGNOLINI
Per la partenza di Concita De Gregorio da "L’Unità"
Giugno 2011

Da anni porto in giro le mie storie e le mie rime "per bambini" in festival, corsi, incontri con genitori e insegnanti, e cento altre occasioni di dialogo con gli adulti d’Italia. E da anni vedo occhi luccicare, orecchie rizzarsi, persone emergere dall’ombra e farsi presenti. Un poeta per bambini è "poeta per". Scrive per qualcuno, non per la poesia, e questo qualcuno, grande o piccolo che sia, se si sente interpellato da parole che lo guardano negli occhi risponde: eccomi.
Concita De Gregorio, nel marzo dell’anno scorso, ha sentito nelle mie rime per bambini questo "per" che era più forte dei "bambini", e mi ha chiamato a pubblicarle, un giorno sì e due no, nella pagina tre de l’Unità, per i suoi lettori adulti d’Italia, per tutti.
Lo ha sentito perché è mamma, si affretterà a dire qualcuno, per rimetter gli uccelli fuggiaschi nelle gabbbiette; o ancora, perché è donna, altra bella gabbietta d’oro: ma fuori delle gabbie, ne sono certo, lo ha sentito perché ha orecchie per le voci raminghe d’Italia che parlano agli altri: non ai target, alle categorie, agli elettorati, ma alle persone, a tutti e a ciascuno. E lo ha sentito – questo lo voglio aggiungere perché faccio il mestiere, e tengo a cuore la sua maestria – perché lei è maestra collega dell’amata lingua. Concita De Gregorio scrive bene, e chi scrive davvero bene legge meglio.
Come me, come molti del mio mondo, Concita ha capito una cosa. Che gli adulti, "con la scusa dei bambini", si concedono belle deroghe fiorite alla legge del disincanto, della scaltrezza, della sapienza sagace e fallace dei grandi; si riappropriano – alcuni, ahi loro, per quel momento solo – di interi acri d’anima perduti. Con la scusa dei cani per strada facciamo amicizia con chi, senza cani, non guarderemmo in faccia. Con la scusa di una sciarpa da tifoso ci scambiamo segni d’intesa. Con la scusa dei passeggini ci sorridiamo. Il fatto è che non ne possiamo più, semplicemente, del Codice Unico degli adulti disincantati, sgamati, scafati, e non cerchiamo altro che un varco, una crepa per scappare da questa Alcatràz.
Ma non è mille volte più puerile fare qualcosa che si desidera, di cui si ha bisogno, con la ridicola foglia di fico di una scusa? Di un cane, di un passeggino? Un vero adulto ha bisogno di questo?
I sedicenti adulti omozigoti, adulti e basta; gli sgamati scafati realistici, i disincantati; quelli che chiamano gli altri "anime belle" (mi ha sempre incuriosito la locuzione: loro dunque cosa sono, "anime brutte"?): costoro non sanno che esiste un giardino per veri adulti, che non si trastullano più con quelle scuse; un posto dell’anima e del pensiero che si chiama Consapevole Incanto. Dove il sogno, come dice in un magnifico librino Gabriella Caramore, è una mera potenza di realtà. Consapevole come un vecchio e incantevole come un bambino, colomba e serpente, frutto e fiore, umano maturo: adulto.
Concita De Gregorio in questo giornale ha ospitato poeti, musicisti, narratori, fabulatori del teatro. Perché lei stessa parlava e ha saputo ascoltare questa nostra lingua adulta, quella dei portatori di Consapevole Incanto, cioè di sogno nella realtà.
Non so se sia per questo che ora parte.
E non voglio parlarne, anche se mi amareggia: dell’amarezza che ha già detto con parole perfette Mila Spicola, su questo giornale. Voglio guardare avanti, da subito, da ora. E cosa vedo?
Vedo che le storie esistono, per nostra fortuna. Lo garantisco, ci lavoro da trent’anni, da mille e ottantotto poesie e mille e settecento puntate di Melevisione. Le storie accadono, e anzi niente accade, ormai è appurato, se non sappiamo narrarlo in una storia. E allora io che le storie le scrivo e le vivo, ho scritto a Concita in partenza coi toni della storia giusta, con le parole di un bel ciclo arturiano. Con un sorriso ironico di consapevolezza e gagliardo di incanto, le ho scritto così.
Capitana, se con questa spada o questa penna io posso ancora servirti, non appena avrai pronta un’altra nave, non hai che da chiamare, e io prenderò armi, rime e bagagli, e partirò da dove sono e verrò con te. E credo proprio che non sarò il solo.



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Questa pagina è stata creata il 21 giugno 2011


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