L'ACCALAPPIATOPI
Spettacolo teatrale per bambini tratto dall'omonimo poema di MarinaCvetaeva
Produzione Corte Ospitale di Rubiera - Debutto Teatro Herberia, Rubiera (RE), 24 novembre 2003

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Testi di BRUNO TOGNOLINI
Regia di FRANCO BRAMBILLA
Con TONY CONTARTESE e ROBERTA BIAGIARELLI


PRESENTAZIONE

a cura di Bruno Tognolini


1. La fiaba originaria
2. Il testo poetico di Marina Cvetaeva

     Il Suono
     Il Senso
3. Il testo teatrale di Bruno Tognolini
     Il Senso
     I personaggi
     Il suono
4. Lo spettacolo di Franco Brambilla


Uno spettacolo teatrale, quando arriva agli occhi dello spettatore, è un fiume maturo che ha alle spalle un lungo corso: sorgenti, ruscelli, torrenti, laghi, paludi, affluenti...
In questa presentazione dello spettacolo "L'Accalappiatopi" ne descriviamo il corso a monte, per render note le ricchezze che nell'evento finale sono confluite, e che possono essere ripercorse controcorrente da chi volesse approfondire l'esperienza di quell'ora.
Sono quattro tratti di fiume:

1) LA FIABA ORIGINARIA del Pifferaio di Hamelin
2) IL TESTO POETICO di Marina Cvetaeva, tratto da quella fiaba
3) IL TESTO TEATRALE di Bruno Tognolini, tratto da quel testo poetico
4) LO SPETTACOLO di Franco Brambilla, tratto da quel testo teatrale


1. La fiaba originaria


La fiaba, fra mille altre caratteristiche infinitamente analizzate, ne possiede due molto forti:
a) ha qualche radice, talvolta rintracciabile, in fatti realmente accaduti;
b) è nata e fatta per essere ri-narrata nei secoli, per accogliere un numero quasi illimitato di versioni e varianti senza estinguere il suo nucleo originario.

La fiaba del Pifferaio-Accalappiatopi, come altre, nasce da fatti realmente accaduti.
Hamelin (oggi Hammeln) è una cittadina sulle rive del fiume Weser, non lontana da Gottinga, in Germania. Nella sua chiesa un'iscrizione in rima e una pittura su vetro, datate anteriormente al 1300 e rimosse nel 1660, narravano che un Pifferaio dagli abiti variopinti, il 26 giugno del 1284, condusse via dalla città centotrenta bambini, che non fecero mai ritorno.
Un'iscrizione similare riappare trecento anni dopo, quando la leggenda si è già diffusa, sulla parete della Rattenfängerhaus ("Casa dell'Accalappiatopi") costruita nel 1603 ad Hamelin.
Eccone una traduzione grezza: Nell'anno 1284, il 26 giugno, giorno di San Giovanni e Paolo
da un Pifferaio vestito di tutti i colori
130 bambini nati ad Hamelin furono condotti via
e si perdettero nel "calvario" presso il "koppen"

Questo l'evento storico all'origine della leggenda. Da notare che i topi non vi compaiono ancora: saranno un'aggiunta successiva. Le interpretazioni storiche di questo evento sono state, nei secoli, le più svariate. Eccone una breve antologia "per titoli": - il Pifferaio è la Morte, o la Peste, che in quell'epoca ramazzava vite in tutta Europa
- il Pifferaio è un reclutatore per qualche guerra in atto (si arruolavano anche i giovanissimi)
- l'evento è collegato con la famosa Crociata dei Bambini (ma non coincidono le date)
- l'evento è collegato con una deportazione a scopo di colonizzazione (in Transilvania)

Certamente qualcosa di molto grave accadde ad Hamelin, quel 26 giugno 1284: qualcosa che oggi non si può più ricostruire con certezza, ma che ha lasciato un segno indelebile nella vita della città, e una scia di leggende che da lì andava ramificandosi in tutta l'Europa, e in seguito nel mondo.
Ne hanno narrato i fratelli Grimm (I bambini di Hamelin, 1816), Goethe (Der Rattenfanger, 1804), Robert Browning (The Pied Piper, 1842); e da questi grandi nomi giù per un altro fiume, attraverso decine di versioni popolari riferite dagli studiosi del folklore, superando la versione in "satira lirica" di Marina Cvetaeva, fino alle numerose versioni contemporanee, letterarie (una per tutte: Michael Ende, Il pifferaio magico: danza macabra in undici quadri) e teatrali (oltre a quella storica del Teatro delle Briciole, sono attualmente in giro messe in scena del Teatro del Sole di Milano, Teatro del Paradosso di Pescara, Teatro dell'Erba Matta di Savona, e probabilmente altre).

NOTA: materiali relativi a tutte queste versioni della fiaba saranno messi a disposizione delle classi che volessero compiere un percorso di approfondimento prima o dopo lo spettacolo.

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2. Il testo poetico di Marina Cvetaeva

Marina Cvetaeva ha scritto il "Krysolov" (L'Accalappiatopi) nella sua dolorosa diaspora europea, fra Praga e Parigi, nel 1925. Vi risuona l'ira e l'amarezza dell'artista "diverso", torcia dell'anima che porta luce e disordine (l'Accalappiatopi), nei confronti della comunità che lo circonda (Hamelin), che questa luce respinge e questo disordine reprime.
Come in ogni testo poetico in grado di volare, nell'Accalappiatopi della Cvetaeva battono in perfetta armonia, e con la stessa forza, le due ali del Suono e del Senso.


IL SUONO

"Il verso di Marina Cvetaeva
- dice Caterina Graziadei, traduttrice e curatrice dell'edizione italiana dell'opera - sfrutta tutte le possibilità mimiche e strumentali della lingua, le articolazioni fonetiche dell'apparato fisico della parola. (...) Negli ‘a solo' il flauto s'impenna in una ripida musica, fitta boscaglia di suoni, trama di echi, rinvii, riprese tematiche, pura maestria sonora".
Insomma quei versi erano, come la Cvetaeva stessa li definiva, "un acquazzone di suono".
Purtroppo questo suono è in russo. E la traduzione italiana, nonché non rendere la forza di questo "acquazzone", non riesce a darci un'idea dell'importanza del motore sonoro nell'economia del testo russo. Occorre leggere alcuni esempi di versi nell'introduzione citata, per intuirlo.
In italiano: "Rombo di resine. Un bue. Un mulo." - in russo: "Smol Gul. Vol. Mul."
In italiano: "Polvere. Pulviscolo. Corpuscolo. Nulla." - in russo: "Pyl'. Mel'. Mol'. Nul'."
È evidente che la Cvetaeva ha scelto quelle quattro parole non solo per ciò che "vogliono dire", ma per altri e sostanziali motivi, di cui neanche la migliore traduzione può dirci niente.
In linea col progetto "Fiabe d'autore", allora, la Corte Ospitale ha chiamato al lavoro un autore per bambini con esperienza di "rimatore", Bruno Tognolini (che scrive queste note), e gli ha proposto il compito di scrivere un testo in cui la componente di suono, ritmo, rima e strofa tentasse di specchiare in italiano, e in forme adatte a un pubblico bambino, la scelta di stile dell'autrice russa.


IL SENSO

Non solo il Suono aveva bisogno di un interprete, ma anche il Senso, che in molti casi, pur essendo italiano, non suonava per questo meno russo.
La lodevole intenzione di salvare nella traduzione Suono e Senso insieme, come la proverbiale Capra e Cavolo, fa correre il rischio, purtroppo, di perderli entrambi. E il testo italiano, in molti punti, è francamente molto oscuro: almeno per uno scrittore per bambini.
Inoltre, anche quando si capisce "cosa vuol dire", occorre chiedersi:
a) se ciò che vuol dire interessa ai bambini
b) se è giusto raccontarglielo.

Tanti passaggi, tanti affondi irati o sarcastici contro il bigottismo dei benpensanti, che arricchiscono ma ritardano la narrazione dei fatti, possono essere condivisi e goduti a fondo dagli autori (adulti) dello spettacolo, ma non al punto da scordare di chiedersi se quei passaggi interessano ai bambini.
I conflitti reali fra contrapposte tendenze del mondo adulto arrivano e devono arrivare all'infanzia, ma mascherati, "drammatizzati" in forme narrative semplici e forti, come quelle della fiaba (come tale, o sotto le attuali versioni di "fantasy", "adventure", etc.). Nulla è più lontano dal loro interesse che la lunga e raffinata "digressione sul bottone" modulata dal testo della Cvetaeva nel Primo Canto, o le folte allusioni agli opprimenti organismi sovietici sparse ovunque.
Sono "beghe" dei grandi.

E per contro vi sono punti che interesserebbero (eccome!) ai bambini, ma lì è da chiedersi: è giusto raccontarglieli? Il finale della leggenda è sempre sacrificale, in qualunque versione sia narrata: i bambini "spariscono in una grotta" (che sia sempre stata lì o si sia aperta all'improvviso) e vengono inghiottiti dal fianco della montagna. Nella versione della Cvetaeva, invece, la leggenda tedesca s'incrocia con un motivo della tradizione slava: la città fantasma di Kitez, " inabissata per volere divino all'avvicinarsi dei Tatari, (...) che continuerà a vivere sul fondo del lago Svetlojar fino al giorno del giudizio" . Giù in quella città sommersa il Pifferaio della Cvetaeva conduce i bambini, invitandoli a "buttare nella stufa" i libri, le pagelle e gli zainetti, offrendo loro caramelle e giocattoli ("bambole per le bambine, per i bambini fucili"), e promettendogli che "dove andiamo è sempre domenica". Ricorda niente?

E a far cosa, li porta laggiù? Ad annegare? A vivere in un altro mondo?
Molti, narrando ai bambini questa storia "così com'è", col suo finale, hanno scelto di sfumare la cosa in una vaghezza interpretativa: non si vuol dire che siano davvero affogati, la città in fondo al lago è un "altrove", una Città del Sole, utopia di libertà, di poesia, d'arte...
I bambini però hanno bisogno di eventi più univoci e concreti: sono affogati nel lago sì o no?
E se non sono affogati, dove sono andati? Sono tornati nelle loro case?
I piccoli della Cvetaeva, infatti, danno di ciò che sta accadendo loro un'interpretazione ben precisa:
"Ci porterà a morire! - Ma almeno ci divertiamo!"

Anche l'Accalappiatopi ha le idee chiare:
"Dormite! Dormite! Dormite e sparite!"
"State andando in una scuola di silenzio, sott'acqua"
"Scioglietevi, rose delle guance, sparite nell'acqua"
"E l'acqua è già alle spalle - dei topini dai grembiuli a quadrettini"

Topini? Vuol forse dire che per lui fra bambini e topi c'è poca differenza?
Gli ultimi due versi del poema sono cupi come tonfi nell'acqua:
"Mamma, oggi non chiamarmi per cena
Bolle d'acqua"

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3. Il testo teatrale di Bruno Tognolini

È giusto raccontare ai bambini una storia così? Perché sono stati sacrificati, quei loro coetanei?
Devo dirglielo: se gli racconto il cosa devo anche raccontargli il perché.
È solo la nota figura paurosa di dissuasione, un altro Babau che porta via i bambini?
Potrebbero dire, le nonne, "fai il bravo, perché se no viene il Pifferaio e ti porta in fondo al lago"?
No: il pifferaio è venuto non perché loro non hanno fatto i bravi, ma perché i loro genitori non hanno fatto i bravi. E come si può mai spiegare ai bambini, questo?
In qualsiasi modo la si giri, non è un finale giustificabile agli occhi dell'infanzia, non è un valore che si possa proporre, non è una storia che si possa raccontare, se finisce così.


IL SENSO

Farla finire in altro modo, senza snaturarla, è precisamente il lavoro della drammaturgia.
Questo lavoro, sia chiaro, è del tutto compatibile col millenario lavoriò di trasformazione della fiaba. La fiaba, come detto, è fatta per accogliere un gran numero di versioni e varianti senza estinguere il suo nucleo originario; e la drammaturgia elabora la materia della narrazione (fiaba, leggenda, cronaca, romanzi o altro) per estrarne versioni e varianti diverse, che rispondano a istanze diverse da quelle originali: in questo caso per estrarne una versione teatrale, e per bambini.
Come altre abilità d'artigiano, però, la drammaturgia deve conoscere e rispettare il materiale che lavora: tener conto delle venature del legno, nell'intagliarlo. Si rispetta maggiormente il poema della Cvetaeva applicandovi un finale dichiaratamente diverso (un intarsio d'avorio applicato all'intaglio del legno), piuttosto che forzando il suo racconto a finire come non vuole finire.
Oltre ad accorciare, quindi, o tagliar via del tutto le parti che "non interessano i bambini" (le digressioni citate sopra), si è trattato di cercare un nuovo finale che rispettasse le linee interne del poema. E che finale? Cosa potrebbe accadere?
Pare che Pasternak, in una delle tante lettere scambiate con la Cvetaeva (v. introduzione citata), avesse detto che veniva l'impulso d'alzarsi e fermarli, quei bambini, prima che entrassero in acqua.
E così dev'essere: occorre che qualcuno intervenga e li fermi. Ma chi?

Un bambino? Un adulto? Qui irrompono francamente le convinzioni "pedagogiche" dello scrittore per l'infanzia: dev'essere un adulto. Gli adulti che operano in questa vicenda, visti dalla parte dei bambini, sono figure decisamente disastrose: fra i genitori, che riservano loro un futuro di piatta e bulimica grettezza, e l'Accalappiatopi, che propone una morte sublime per acqua e poesia, non c'è di che stare allegri. Se a questo punto fosse un bambino che li salva, staremmo raccontando una storia molto precisa e pericolosa, che parla di fallimento totale degli adulti. Alcuni scrittori per l'infanzia accarezzano queste posizioni, ma l'autore di queste note no: ci dev'essere, in ogni storia, un adulto "positivo", almeno uno, o i nostri bambini finiranno per cercarlo nel Signore delle Mosche. Quindi un adulto: chi?

Qui torna la necessità di "rispettare le venature del legno": sarebbe meglio se fosse una figura interna alla storia, non un deus ex machina calato a nostro piacere da altri mondi. E cosa fanno gli adulti interni alla storia, i cittadini di Hamelin, quando si accorgono che i loro bambini stanno seguendo il Pifferaio dentro il lago? Se ne accorgono?
Nella versione di Browning sì, e ne sono paralizzati, "come trasformati in blocchi di legno". Nel poema della Cvetaeva no, non se ne accorgono, o non ci viene detto niente in proposito. Ma come vuole un'antica regola dell'interpretazione dei testi sacri (e la drammaturgia ne è una lontana branca), ciò che non è esplicitamente negato, se è ragionevolmente plausibile (rispettoso delle venature), può essere ammesso. Può essere accaduto che un adulto, uno solo, abbia inseguito la tetra processione, abbia affrontato il Pifferaio, in qualche modo l'abbia convinto. E chi?

Come accade nei testi più ricchi (e quello della Cvetaeva è ridonadante di ricchezza), è proprio fra le pieghe del testo che si trova la soluzione. C'è un adulto cittadino di Hamelin che abbia qualche vaga connotazione positiva? Che non sia del tutto intronato di avidità e perbenismo?
C'è. È Greta, figlia del Borgomastro, che infatti le lingue delle comari fanno a pezzi al mercato: "Non va! Non va!... / Da tre notti aspetta l'alba... / Brucia la candela... / Brucia la sua vita!... / Aspetta la felicità!... / Alla tomba finirà...". Un adulto antagonista rispetto alla sua comunità, utopista e sognatore, ce l'abbiamo senza forzare il testo con figure estranee. E come collegare Greta coi bambini, come farla partecipe della loro protezione? Diamo solo una svirgolatina di scalpello alla venatura del legno: GRETA È LA MAESTRINA DEL PAESE.

Potremmo andare oltre, dicendo che fra lei e l'Accalappiatopi saranno scintille, altro che idillio da balcone di Giulietta. Ma che in qualche modo, alla fine, forse si intenderanno. Potremmo dire che, fra la città grondante ricchezza materiale e la ricchezza spirituale in fondo al lago, la Maestrina troverà un'altra via: un valico nelle montagne, verso la Transilvania, dove fondare una nuova città, e trapiantarvi il futuro (e così seguiamo un'altra "venatura del legno" della leggenda, senza spaccare il pezzo); potremmo addirittura insinuare che forse un giorno il Pifferaio andrà a trovarli, per insegnare loro la sua arte...
Ma lo scopo di queste note non è tanto raccontare la storia dello spettacolo (lo farà molto meglio da sé), quanto la storia del percorso che lo precede: uno scorcio dell'officina che fuma e sfavilla dietro ogni opera finita. Così dunque l'officina della drammaturgia ha lavorato sul Senso, lo ha preparato per porgerlo ai bambini, di oggi e di qui. Ma con che mezzi, con che forme da vedere e sentire?


I PERSONAGGI

Suono e Senso devono prima di tutto incarnarsi in una struttura drammatica: personaggi che diano loro corpo e voce, identità e compito di questi personaggi, relazioni fra loro e col pubblico, etc.
La scelta è caduta sulla figura del Contastorie Ambulante, col suo tradizionale Compare/Spalla.
Un figuro alto e spavaldo, seguito da una ragazzina stracciona e monella, si presenta al pubblico così: "Sono Basilius Rattenfanger, Artigiano Ambulante Tuttofare, Musicista, Contastorie, Svuotacantine, Scacciamalocchio e Accalappiatopi. E lei è la mia apprendista Rosicarima: piccola fannullona che ho preso dalla strada per insegnarle il mestiere. Saluta, Rosicarima!"

Dopo i saluti i due racconteranno, entrando e uscendo fluidamente nelle modalità contigue di narrazione e interpretazione, da se stessi ai personaggi e ritorno, come i Contastorie hanno sempre fatto a teatro e nelle piazze. Saranno Cittadini, Comari al Mercato, Consiglieri, Topi, Bambini; il Rattenfanger sarà l'Accalappiatopi, e Rosicarima sarà Greta, la Maestrina figlia del Borgomastro.
E si spartiranno, coi loro ruoli drammatici, il compito di musicisti esecutori del Suono.


IL SUONO

Non si pretendeva certo che un fisarmonicista mediterraneo (uno scrittore italiano per bambini) componesse una partitura in qualche modo affiancabile a quella di una virtuosa pianista russa: ma l'importante è che la musica sia buona. I due movimenti scelti per restituire un buon motore di Suono - italiano e teatrale - all'Accalappiatopi, riflettono quindi abilità artigiane e secolari, e si possono schematizzare così:

Rattenfanger → NARRAZIONE → OTTAVE
Rosicarima → INTERPRETAZIONE → FILASTROCCHE

Naturalmente questo non vuol dire che l'uno narri soltanto e l'altra soltanto interpreti: son solo due registri fluidi di riconoscibilità, due stili che li distinguono.

Le OTTAVE sono una tecnologia della parola nata e perfetta per la narrazione. La loro struttura strofico-rimica (ABABAB-CC) forza la chiusura dell'argomento a ogni strofa, che si presenta così compiuta e compatta come una scenetta, la vignetta di fumetto, o come si direbbe oggi un "pacchetto d'informazione". Le ottave son fatte per narrare a puntate l'Orlando Furioso ai committenti d'Este, sazi e distratti nei banchetti di Ferrara; son fatte per "cantar maggio" in Toscana, cantare stornelli nel centro Italia, cantare "a tenores" in Sardegna; son fatte per narrare gesta di Pupi e Paladini nelle vie di Palermo. La voce e il gesto si allargano, divengono subito quelli di un Contastorie che torreggia nella piazza, conquista gli occhi incantati di tutti, e inizia a narrare.
Ecco un'ottava di narrazione pura.
Mentre l'Araldo dava questo bando
dalla porta maestra delle mura,
dove nessuno stava vigilando
perché dormisse la città sicura,
con passo morbido, quasi danzando,
entrava misteriosa una figura:
un uomo alto, con un mantello strano,
ed uno strano flauto stretto in mano.

Ma eccone anche una di commento e riflessione.
Si potrebbe obiettare che un poeta,
un vero musicante di valore,
cerca una via più nobile e discreta
per conquistare a una fanciulla il cuore.
Ma chi lo sa se per la bella Greta
vagheggia il Pifferaio un vero amore,
o qualche cosa molto meno vaga:
una dote, una carica, una paga.

Ed eccone un'altra, addirittura di "teatro".
"Bravo! Bis!" - "Ben suonato, musicante!"
- ripresero strillando i Consiglieri.
"Davvero un bel concerto!" - "Affascinante!"
"Soprattutto per quei topacci neri!"
"Adesso puoi andare, e grazie tante!"
"Parti coi nostri auguri più sinceri!"
"E ritorna a trovarci, prima o poi!"
"D'ora in avanti ci pensiamo noi"

Le FILASTROCCHE
di Rosicarima, dal canto loro, non sono da intendere filologicamente, come componimenti infantili in cui il Suono prevalga sul Senso: sono versi con sonorità più ritmate e spezzettate di quelle che usa il suo "capo", lavori d'apprendista, perline di collana o pietrine per giocare, rimette rosicate (come dice il suo stesso soprannome), spezzettate coi denti, ma divertenti, ottime per recitare, deridere, insultare, o contare e condurre topi come un pastore il gregge.
Eccone alcune che irridono la città di Hamelin.
Città-consuma poco - città-compra per tempo
Città-non brucia fuoco - città-non tira vento
Città-niente ubriachi - città-niente ambulanti
Città-niente di dietro - città-niente davanti...

Ecco i gridi del Mercato, che senza sembrare scivolano nel RAP.
Lardo per il dottore! - Erbe per lo speziale!
Felicità e salute, con cotenne di maiale!
Venite! Sentite! - Patate garantite!
Prendetene un bel cesto che domani son finite!
Gamberi! Totani! - C'è il pescatore!
Tuberi! Asparagi! - C'è l'ortolano!
Guardate l'occhio vivo - Pescati da due ore!
Raccolti ora dall'albero - Toccate con la mano!
Trippa, salsiccia, la pappa con la ciccia!
I ravanelli rossi oppure l'insalata riccia!
Bluse di flanella! - Sì! - Tu sarai bella!
Scarpe di vernice! - Sì! - Sarai felice!...

Ed ecco invece la litania malinconica di Greta alla finestra.
Luna, luna, luna!
Guardami, luna cattiva
Guardami piangere nella sfortuna
Dimmelo tu quando arriva
Quello che viene da fuori
Con la sua musica triste
Con le parole che rubano i cuori
Dimmelo che lui esiste
E che ci porterà via
Fuori da questa città
Dove non cresce nessuna poesia
Dove c'è troppa realtà
Luna, che tutto indovini
Dimmi che sarà così
Porterà me, coi miei bambini,
Molto lontano da qui!

Ma parleranno anche in PROSA
, i personaggi. Tanto in prosa da venirsene avanti sul boccascena, due o tre volte nell'arco dello spettacolo, a spiegare in modo piano e aperto ai bambini come stanno le cose, cosa c'è dietro, cosa possiamo pensare... Nessuno "straniamento brechtiano": solo adulti che si assumono la responsabilità di sedersi accanto ai bambini, guardare assieme il mondo di fronte a loro, e parlarne: narratori del teatro, folletti del Fantabosco, maestre della scuola.
Ecco uno di questi "Intermezzi".
Cos'era quello "squeak"?... Ve lo dico io cos'era. State a sentire cosa dice il Rattenfanger.
Cosa succede quando si esagera? Quando si è troppo potenti, troppo ricchi, troppo sani?
Non avete mai sentito qualche vecchia zia, qualche nonna, dire... "il troppo stroppia"?
Be' è proprio così: il troppo stroppia.
Chi si compra troppe armi - uomo o stato che sia - prima o poi le vuole usare, e stroppia.
Chi si compra una macchina troppo veloce la vuole usare, e prima o poi si stroppia.
Chi consuma troppo non sa dove mettere la spazzatura, e la sua casa stroppia.
Il regno che accumula troppo danaro, e lo fa girare troppo facilmente, si ritrova la casa piena di ladruncoli, faccendieri e tangentisti.
E la città che accumula troppo grano, troppo riso, troppo zucchero, troppo lardo, formaggio, castagne, aringhe, mele... si ritrova le cantine piene di... piene di...

"TOPI!"
, grideranno tutti i bambini se tutto funziona.


4. Lo spettacolo di Franco Brambilla

Appunto: funzionerà?
Fin qui il lavoro del drammaturgo: il testo. Ma perché tutto funzioni, occorre ancora un bel tratto di fiume: lo spettacolo.
Ma qui s'interrompe di colpo il nostro racconto, perché al momento in cui lo scriviamo il barcone che percorrerà quest'ultimo tratto di fiume è ancora in secca, e la sua ciurma dispersa per l'Italia.
È un costume un po' forzato da esigenze burocratiche, quello di comunicare forme e stili, registri e suggestioni di spettacoli di cui non sono nemmeno partite le prove e gli allestimenti: un regista non sa, e non deve sapere come sarà lo spettacolo, perché lo deve scoprire mentre lo costruisce.
Il drammaturgo aveva tanto da dire solo perché da tanto lavorava e tanto materiale ha già sotto le mani. Per evitare di vendere fumo, quando fin qui abbiamo servito arrosto, il regista è bene che taccia. Presto la ciurma si radunerà, s'imbarcherà, salperà, e quando si sarà spinta abbastanza avanti ci racconterà cosa si vede in quel tratto di fiume, e cosa dobbiamo aspettarci alla foce.


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Questa pagina è stata creata il 23/09/2003


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