Bruno Tognolini


TRE RACCONTI SULLA PUBBLICITÀ


Gianfranco Cherchi, mio vecchio amico e pubblicitario sardo, mi chiese nell'estate '94 tre racconti brevi "sul tema della pubblicità" (che però - raccomandava - dovevo tenere come riferimento lato). Progettava di inserire i tre testi nell'annuale carteggio di promozione della sua agenzia PUBBLICITARI ASSOCIATI, di Cagliari. Non so se tenendo o meno il riferimento lato, ho scritto queste tre storie.


1 . L'ATTACCHINO
2 . IL BANDITORE
3 . IL SARTO



1 . L'ATTACCHINO

Scopa e colla, colla e scopa, su e giù per quella scala. Occhi e bocche di giganti, pomodori mongolfiere, pezzi di cielo, parti di macchine, quarti di donne: ma cos'è questo mondo a pezzettoni? è ciò che vede l'attacchino Piero.
   Suo mestiere è rimetterlo intero, questo mondo colorato esagerato, in grandi affreschi di carta sei per tre. Il pezzo giusto, ben intriso nella colla, viene issato a cavallo della scopa, alto come stendardo in processione, e poi - splat - schiaffato sul muro accanto all'altro. E proprio lì ci vuole il tocco da maestro, tappezziere e pittore d'affreschi: le parti devono baciare a perfezione, o i visi saranno ambigui, le macchine rotte, i paesaggi faranno venire il mal di testa.
   Ma il mal di testa Piero Colla l'attacchino quel mattino ce l'aveva proprio lui. A lui i visi della gente imbambolata suonavano ambigui, a lui il paesaggio non tornava giusto. E mentre le mani si muovevano da sole, agli ordini degli occhi, la mente accigliata pensava:
   - Ma perché se n'è andato, porco mondo? C'era bisogno, io dico, esagerato! Per due piccioni, due porcacci piccioni pidocchiosi!
   Ma non erano solo i piccioni, e lui lo sapeva. Il figlio adorato Giovanni, di dodici anni, se n'era andato di casa la mattina. Aveva lasciato un biglietto che diceva: basta. E lui sapeva cos'era che bastava, poteva farla da solo quella lista che il suo bambino gli aveva risparmiato: basta ore di solitudine al balcone, basta scuola fino alle cinque tutti i giorni, basta domeniche pomeriggio alla tivù, basta grandi ingrugniti e silenziosi, basta compiti e cartoni e cena e fumetti e pigiama.
   - Basta: io voglio due piccioni da allevare. Ho letto di un bambino che li aveva, ho visto come si fa la colombaia, la metto nel balcone, non disturba. Penso io al becchime, pulisco io la cacca, mamma, non te ne accorgi neanche, giuro!
   - Ma benedetto, due piccioni, ma perché! Portano pulci, brutte malattie, e poi son stupidi, ma li hai guardati bene?
   Insomma, nulla da fare: pareva che i desideri stralunati, le aspettative del futuro e il vasto mondo da quel giorno stessero tutti sotto l'ala di questi due piccioni.
   - O loro o niente.
   Un pesce rosso, un criceto?
   - O loro o niente.
   E allora niente! E a letto senza tivù, filare e zitti.
   E invece l'indomani, biglietto e addio.
   Piero Colla non era ancora preoccupato: il bambino era scappato verso l'alba, lo avevano sentito trafficare, e ora suonava appena mezzogiorno. A scuola non era andato, aveva verificato col bidello, doveva essere in giro nei paraggi: magari al solito giardinetto polveroso, o a casa di qualche amico. Poco più di una fuga da scuola, in buona sostanza: diamogli il tempo di capire l'asinata, e tornerà, e chiederà anche scusa.
   Ma allora perché Piero Colla si sente inquieto? Perché lavora così brusco, così male? Squadernando la carta intrisa sopra il muro, ecco aprirsi un faccione di bambino che morde giulivo non si sa che barra dolce: e l'attacchino gli assesta con la scopa un ceffone colante. E ora quel bimbo ride e piange colla amara.
   Il perché di quell'ansia manesca lo capì verso sera, quando del figlio non s'era ancora vista traccia, e con la mamma lacrimosa dovettero ammettere: Giovanni era andato via.
   Polizia, telefonate, domande e risposte, parenti che già, chissà come, sapevano tutto.
   Alle dieci di notte il padre è alla finestra, che guarda là fuori la strada con le auto acquattate, e oltre quelle la grande strabiliante città.
   Là fuori, da qualche parte, c'è Giovanni.
   Ma dove sei? Come potrò chiamarti?

   L'indomani tutti quanti, a partire dalla moglie, trovarono assai riprovevole che andasse al lavoro: non aveva più ferie, permessi? Non gli pareva che fosse un caso d'emergenza? Ma davvero il lavoro vien prima di tutte le cose? Ma anche un lavoro così?
   Piero Colla fece la faccia risoluta, non salutò nessuno, prese la borsa e uscì.
   Nel salone degli attacchini del comune, dove tutti mescevano colle parlando di calcio, lui parlò di qualcos'altro fitto fitto coi suoi amici Carlo Tacca e Mario Piccia: che annuirono, un po' allarmati e un po' contenti. Poi tutti insieme accesero le Api, e via ronzando nelle cento direzioni.
   Piero Colla, Carlo Tacca e Mario Piccia quella giornata fecero cose straordinarie. Se nelle fiabe dei bambini si incontrano tipi che messi alla prova sanno arare e seminare e raccogliere tutto in un giorno, loro tre fecero meglio di un bel pezzo.
   Taglia e incolla, strappa e attacca, appiccica tutto e via! Strade e piazze, muri e pali, facciate, vetrate, inferriate, avanti avanti! Avevano rulli di carta così immani che le Api andavano con le ruote davanti per aria: tutti i residui delle campagne di tre anni, prosciutti e profumi, cieli e computer, orti e vallate, fresche fragranze, donne spogliate, viaggi vacanze, vecchi sereni, medici onesti, manifesti, manifesti, manifesti!
   E quando finirono le otto ore, attaccò lo straordinario. E quando finì lo straordinario, allora attaccò la nera incantevole notte.
Alla mattina Giovanni si svegliò, aggranchiato per il duro dell'asfalto. Dormire in un vicolo buio fra due auto era proprio come l'aveva immaginato: freddo, scomodo e triste. Nemmeno un topo che lo salutasse, di latte caldo neanche il fumo disegnato, e casa chissà dov'è.
   Non che volesse tornare, beninteso. O meglio, non ancora: perlomeno tre giorni, si era detto. E sempre che non trovi nel frattempo un posto di mozzo in qualche TIR che parte, e non torna mai più.
   Ma cosa credono? Non si può dire sempre di no a un ragazzino di dodici anni che è sempre promosso, e gioca a calcio in terza categoria. Chiede la gita di due giorni con la scuola: e no. Chiede il computer: no. Chiede i pantaloni larghi larghi, come quelli che usano adesso, come quelli laggiù...
   - Ma... Ehi!
   Giovanni guardò meglio lo strano manifesto che campeggiava laggiù nella strada, all'uscita del vicolo. Era di un tipo che non aveva visto mai: le forme e le figure parevano comporsi con distacco, come non fossero proprio disegnate, come se fosse una specie di collage.
   E poi soprattutto: che cosa mostrava quel poster, che scena era quella? C'era una strada ombrosa, con una cricca di ragazzini sul muretto, alcuni seduti sui motorini ed altri in piedi, alcuni piccolissimi e altri giganti. E lì davanti a tutti, in primo piano, con un bel paio di pantaloni larghi... lui!
   Lui, Giovanni! O perlomeno qualcosa in quella faccia - che pareva tagliata e incollata da sei facce diverse - assomigliava a lui, almeno un poco! O perlomeno, guardando meglio... forse no. Comunque magico, quel manifesto! Gli hanno perfino fatto i pantaloni larghi con la carta un po' staccata, e ora il vento li fa sbandierare, flop flop, proprio come devono fare quelli veri
Già: proprio quelli che non gli hanno mai comprato!
   Così anche il poster gli rinnovò la rabbia, e rinsaldò i suoi propositi di fuga. Si alzò, si scrollò il fondo dei pantaloni stretti e brutti, e si mise in cammino. Percorse il vicolo, e tenendo una mano sugli occhi per il sole gagliardo, uscì nella strada maestra.
   E lì per un bel po' non vide nulla.
   Poi cominciò confusamente a scorgere una certa misteriosa agitazione. O meglio il contrario: un'allarmante calma. Le macchine camminavano pianino, ma senza il ringhio nervoso che fanno di solito, costrette nelle file degli ingorghi. Pareva piuttosto che passeggiassero in un parco, e i conducenti tiravano giù il vetro, guardando qua e là.
   I passanti facevano a piedi l'identica cosa: le madri non marciavano a passo di battaglia sventolando bambini e zainetti; i ragazzi non strisciavano i piedi ingobbiti da soli, né ridevano e scalciavano nei branchi; i vigili non sparavano in cielo colpi di fischietto.
   Ma tutti passeggiavano guardando incantati sui muri.
   Sui muri? Giovanni guardò.
   C'era Disneyland, coi mondi avventurosi, i Paperini giganti, i canyons finti, i mille eroi che lui ben conosceva della terra del mare e dello spazio: e lui, Giovanni Colla, in mezzo a loro. Si riconobbe in un bambino sorridente che guardava con le mani sulla nuca: e pensò al piccolo Luna Park dietro la piazza, dove pure non andava quasi mai.
   C'era un parco d'alta montagna, con orsi e cervi e castori, e torrenti sonori, e cime d'alberi che ondeggiavano nel vento: e lui Giovanni Colla, che mirava contento coi binocoli professionali, vestito da sopravvivenza in luoghi ostili. E pensò a quante volte aveva chiesto di passare mezza domenica soltanto nella pineta a venti chilometri da casa.
   C'era uno stadio mundiàl, di chissà che città lontana, con una partita di calcio in corso, primo tempo. E Giovanni, che oramai aveva capito, si cercò e si trovò tra i giocatori: ma, cosa ancora più strana, negli spalti gremiti stavolta trovò la sua mamma, che non s'era mai sognata di schiodarsi per andare a vederlo giocare.
   Guardava rapito con gli altri. Rapito più degli altri, si direbbe, visto che ormai aveva capito quell'affresco: erano i sogni suoi, i suoi desideri mancati, mai diventati realtà, e ora guardali lì disegnati sui muri della sua città.
   C'era la volta che voleva andare in gita con la scuola: ed ecco un pullman che viaggia nel paesaggio. C'era quel film d'amore che l'aveva commosso: ed ecco lui con l'amica Simona nel cielo al tramonto. C'erano tutti i suoi amici e i suoi amori in bellissime situazioni avventurose.
   C'era anche qualche buffa imperfezione, dettagli estranei che spuntavano qua e là: un collo di bottiglia in cielo, un culo di salame in mare, qualche pezzo di parola sparso intorno
Ma tranne quelli, non c'era scritto niente! Che manifesti strani erano mai? Cosa volevano mai far comprare alla gente? E perché la gente guardava così trasognata, perché rallentava il passo?
   A passo lento Giovanni trasognato camminò, e guardò, e camminò. E nemmeno si accorse che guardando, camminava proprio verso casa sua.
   Forse fu un caso; o i piedi che lo trasportavano per conto loro. O forse quegli affreschi manifesti erano stati disposti in modo saggio: un labirinto di sogni e di segnali, un giardino di rimpianti luminosi. Un labirinto grande quanto la città, ma con un unico possibile cammino, verso un'uscita sola.
   Ed ecco l'ultimo poster della strada, quello proprio di fianco a casa sua.
   Ed ecco suo padre attacchino, stanchissimo, che scende dalla scala, si pulisce le mani nello straccio, lo guarda di sfuggita, rientra in casa.
   Il poster è solamente un grande cielo, fatto di tutti i cieli diversi dell'anno. Non c'è un uccello, né un bambino, né una scritta. C'è solo una colombaia, che sporge attaccata al celeste: e non è disegnata ma è vera.
   E proprio in quel momento due piccioni arrivano in volo, atterrano sulla pedana, si guardano intorno, e dentro.
   E allora, Giovanni rientrò.


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2 . IL BANDITORE

Pepeeeeeeeee!
   - Labài labài! Su sindagu commandada...
   Pepeeeeeeeee!
   - Labài labài! Su sindagu avvertede...
   Ziu Trumba dà fiato alla trumba e suona contento. Ma che bella mattinata di frescura, ma che bel sole, ma che bel cielo, com'era buona la birretta al bar!
   Ha quarantasei anni, ormai è vecchio, e peccato che non si è sposato e quindi è solo. Ma dev'essere una cosa dell'età, un frutto di stagione: certe volte, certe mattine che c'è fresco, sente nel petto una soddisfazione, come quella dei sospiri lunghi lunghi, e allora mira intorno tutto il mondo attraverso le rughe del sorriso.
   E cerca gente per fare scherzi e pepe, che sono adatti al fresco dei mattini.
   - O Ziu Trumba, me la metti una quartina sui miei lacci da scarpe, che li vendo?
   - Ehi ehi: quando ti ci trovano impiccato, già me li compro io.
   Pepeeeeeeeee!
   - Attenzione attenzione! Il sindaco comanda di andare al comune, per scriversi nella lista, per pascolare le pecore nel chiuso comunale!
   Il banditore squillava ogni mattina il suo piccolo corno d'ottone nei dodici punti salienti del paese: fonti, piazzette, incroci, bar, e via. Questo bastava perché i suoi annunci toccassero tutte lo orecchie sgombre da malafede o malattia. Dai suoi paesani era prediletto, come persona contenta del mestiere, allegra e salace, pronta allo scherzo ma con rispettosa misura.
   - O Ziu Trumba, ma è vero che ieri hai bandito che fra tre giorni ti sposi?
   - E non l'hai vista tua sorella piangendo, che non mi sposo con lei?
   Pepeeeeeeeee!
   - Attenzione attenzione! Il sindaco avverte che domani e dopodomani, la Confraternita di San Salvatore passerà nelle case, a chiedere offerte per la festa grande!
   Ziu Trumba era la radio ed il cartello; per chi la radio non l'aveva, e per chi del cartello non avrebbe saputo che fare. Prendeva molto sul serio il suo lavoro: quando era inverno faceva perfino i fomenti con certe erbe che gli dava Zia Piera Pepe Fresco, che giovavano ai cali di voce. Ognuno che avesse, o credesse d'avere, qualcosa da offrire alla gente in cambio di soldi, andava a trovarlo di sera, fra le sei e le sette, e si affidava a lui. E lui l'indomani squillava, e scandiva convinto:
   - Attenzione attenzione! Nella piazza grande domani ci sarà offerta di legna buona a prezzo buono! Labài labài! Ziu Boi Sedilese acconcia sonagli a poco baratto! Labài labài! Nella casa di Zia Esterina Coda Accesa comincia la vendita della pera guancia rossa! Pepeeeeeeeee!
   Ah, però, quella pera guancia rossa! Una perina piccola frizzante, un po' più asprigna della pera camusina, meno speziata della pera pancia nera: ma con un gusto indicibile di buono, come d'infanzia e vento, in fondo al morso.
   E quella Zia Esterina Coda Accesa! Coa Allutta è soprannome di famiglia, per via degli uomini pronti alla collera come avessero il fuoco di dietro: ma d'altro canto stava bene pure a lei. Era una donna giovane ancora, e nubile e bella: e il perché non si fosse mai sposata era oggetto di congetture e fiabe. Era frizzante, allegra, maliziosa, e ben volentieri Ziu Trumba bandiva per lei.
   Anzi: buone le pere, buona la padrona, il secondo giorno il banditore aggiunse qualcosa di suo.
   - Labài labài! Nella casa di Zia Esterina Coda Accesa continua la vendita della pera guancia rossa! La pera è bella, è cotta al punto giusto, è a poco baratto, correte, comprate, pepeeeeeeeee!
   Se ne accorse, e così meditò:
   - Non c'è nulla di male: io le ho mangiate le perine di Zia Ester, son più buone di quelle di Ziu Congia. Dire male di lui sarebbe ingiusto, dire bene di lei non lo è. E fu così che il terzo giorno proclamò:
   - Nella casa di Zia Ester Coda Accesa continua la vendita della pera guancia rossa! La pera è bella, è cotta al punto giusto: gialla di sole, come lampada di giugno, rossa di guancia, come ragazza da marito! è a poco baratto, correte, comprate, labài!
   Le comari dei diversi vicinati lo stavano a sentire a bocca aperta: si era già visto Ziu Trumba ispirato da qualche suo bando, ma mai così! E la malizia fiorì rigogliosa, gialla e rossa come le pere galeotte: Ziu Trumba corteggia Zia Ester Coa Allutta, pepeeeeeeeee!
   Bugia: lui non corteggiava la donna, stimava la pera.
   Zia Esterina era sì una bella nubile, ma Ziu Trumba aveva ben coscienza del proprio modesto stato, dell'avanzata età, della figura, e non si metteva castelli per la testa: Estera non l'avrebbe mai voluto. Ma ciò non cambiava di un'unghia il pregio di quelle perine, che erano buone e meritavano un buon bando.
   Così i suoi bandi, giorno dopo giorno, diventarono lunghi e appassionati. Ogni mattina aggiungeva un paragone, una figura, un giro di frase, come un poeta che lavora una poesia. E ogni mattina un gruppetto di curiosi si radunava col sorriso della festa. La malizia aveva ormai ceduto il passo a un altro sentimento, più sereno: quella gente ascoltava il poeta, paragonava le novità del giorno, apprezzava annuendo la bravura, o commentava che il giorno prima era stato meglio.
   Com'è la pera, Ziu Trumba, com'è oggi?
   - La pera è bella, è cotta al punto giusto: gialla di sole, come lampada di giugno, rossa di guancia, come ragazza da marito. Non porta verme, non porta neo, non porta nodo. La pelle è liscia perché il vento di ponente, che batte l'orto di Coda Accesa ogni tramonto, l'ha passata di piuma di ali per dritto e per contro. Dritto è il gambo come canna ben cresciuta, non più d'erba bambina, ma non ancora di sterpo legnoso. La guancia è rossa come quella del ragazzo che aizza il fuoco del camino, e beve vino... è a poco baratto, correte, comprate, pepeeeeeeeee!
   Ziu Trumba bandiva, e la gente correva, e comprava.
   Oltre a quei capannelli intorno ai bandi, altri e più fitti ve n'erano fuori dell'uscio a casa di Zia Esterina Coda Accesa. La gente voleva vedere quelle famose perine guancia rossa, che tanto fiato di trombetta e di poeta parevano aver meritato; voleva vedere il colore, annusare l'odore, assaggiare il sapore dell'amore. E siccome il sapore era buono, la gente comprava.
   E Zia Ester vendeva e vendeva: i tre alberi del suo piccolo orto, al di là di ogni più rosea aspettativa, furono presto spogli, e i clienti amatori di poesia ancora si presentavano al suo uscio. Ogni mattina, quando usciva con la brocca, ne trovava sei o sette lì già pronti, a sorridere quieti e coscienti, a chiedere pera.
   Era una bella seccatura, e fu per questo che una sera, nell'ora dovuta, Zia Ester Coa Allutta tornò a visitare Ziu Trumba. Aveva guadagnato un bel po', con quella vendita miracolosa, e sapeva benissimo quanto di ciò dovesse a lui: dunque il nuovo servizio che chiedeva si offrì di pagarglielo doppio.
   Sbirciava l'uomo di striscio sorridendo, cutrettola accesa, diavolessa d'una donna rubacuore! E Ziu Trumba faceva l'agreste, parlava a grugniti, ma celava un sorriso compagno di sotto il berretto: lei aveva sentito benissimo i bandi dell'uomo, lui l'aveva ben vista dietro i vetri, entrambi sapevano bene cos'era successo.
   - Ma ora Ziu Trumba ascoltate, c'è un bando nuovo da fare: chiuso, finito, dovete dire questo. Pera non ce n'è più! Avete inteso?
   - Eh, già ho capito, sì - l'uomo grugnì.
   Il giorno dopo, ai suoi attenti ascoltatori, il banditore annunciò conciso il prezzo dell'uva, un paio di scadenze del comune, due o tre notizie della festa grande, e poi disse laconico e cupo:
   - Pera non ce n'è più.
   Non aggiunse nient'altro, ma bastava: la sua gente capì, e portò rispetto. Sarebbe rimasto da solo per tutta la vita. E di lì a qualche giorno, nella frescura dei mattini, si sarebbe potuto scherzare di nuovo, anche di questo.
   - Su sindagu commandada... Su sindagu avvertede... Pepeeeeeeeee!
   Squillavano i bandi, passavano gli anni, avanti e via.
   Ma mai più si vide nel paese una vendita miracolosa come quella di pera guancia rossa, che Ziu Trumba bandì quell'anno, per amore.


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3 . IL SARTO

Beppe Lai era un sarto modesto, ma molto ambizioso. Smacchinando con la sua vecchia singer sulle divise per una pizzeria, sacramentando sulla pochezza del lavoro, a ogni pedata sospinta ripeteva:
   - Ma vedranno! Si accorgeranno! Sentiranno parlare di me!
   E sotto a lavorare: taglia e cuci, scorcia e spunta, scalva e stringi, senza mai requie, senza mai ferie, senza badare a domeniche o stagioni. Chi poi fossero costoro che avrebbero visto e sentito parlare di lui, non era ben chiaro: forse i clienti, forse i colleghi, forse il mondo.
   Ebbene, aveva ragione: di lì a un anno avrebbero visto tutti e tre.
   Guarda il caso, non fu da quel duro lavoro che tutto ebbe inizio, ma addirittura dal suo contrario: da una feria. Una smunta e frettolosa vacanza che il sarto si concesse quell'agosto, per tener quiete sua moglie e sua figlia Maria.
   Questa figlia veniva chiamata Maria Mezzomondo, perché portava un tale ciuffo di capelli spiovente sul viso, che le schermava un occhio per intero. Con l'altro, rimasto acceso, Maria Lai vedeva solo mezzo mondo. Ma appunto qui sta il fatto: quale mezzo? Il mondo infatti, come tutti sanno, è sempre diviso in due: ci sono i cani e i gatti, i meloni e le angurie, il cielo e la terra, la fiaba e la realtà. Forse per puro caso, Maria il ciuffo se l'era fatto sulla destra; e allora per caso il mezzo mondo che vedeva fu quello dell'occhio sinistro: cioè la fiaba.
   Nani, draghi, bestie parlanti, fate zie, extraterrestri e dinosauri alati: ma bastava solo spostarselo quel ciuffo, col gesto noncurante della mano, e i due mondi tornavano a comporsi, come fanno per tutti. E la fiaba tornava a nascondersi, a spiarci da dietro la realtà.
   Così quell'anno, quando scesero in ferie in Sardegna, dove un tempo suo padre era nato, Maria vide subito che in quelle campagne c'era qualcosa di molto interessante:
   - Vedi? - disse il babbo indicandole dei buchi nella roccia, - quelle sono domus de janas. Lo sai chi sono le janas?
   - Sì, sono le fate piccoline sarde, e là sotto ci sono i giardini di corallo dove tessono coi telaietti d'oro i corsetti e gli scialli della luna.
   Il padre la guardò sbarrando gli occhi.
   - Eeeeh? E tu come lo sai? Chi te l'ha detto?
   - Le vedo - disse semplicemente Maria Lai, e s'imbucò in una di quelle cavernette.
   Il padre allarmato le corse dietro, e la chiamava dalla soglia troppo stretta, dove lui non poteva entrare. E da cui invece la figlia uscì tranquilla, dopo appena cinque minuti, con un sorriso nell'occhio sinistro scintillante.
   - Che cos'hai fatto?
   - Niente, ho parlato con la Prinzipalissa, che dev'essere il capo laggiù.
   - Mala jana tui puru! - disse il padre, ricordandosi un pezzo di dialetto - E cosa t'ha detto?
   - Mi ha rivelato il segreto delle stoffe.
   - Il segreto delle stoffe? Quali stoffe? - Le stoffe di luna che usano loro, le jane.
   - E come sarebbero fatte queste stoffe? - chiese il padre, ancora ironico ma già più incuriosito.
   - Mi hanno detto di non dirlo a nessuno.
   - Neanche a tuo padre?
   - No: se lo dico le stoffe si sciolgono alla pioggia.
   - Neanche a tua madre?
   - Beh, a lei...
   Beppe Lai conosceva i suoi polli: Maria parlava spesso con sua madre, di tutto e di niente, di fatti seri, di scuola, di spese, ma anche di sciocchezze immaginarie e visioni da pazze.
   Con la madre Maria parlò, per confidenza e per amore delle fiabe; col marito la moglie parlò, per amore e per dovere coniugale. Fu così che Beppe Lai, sarto sardo emigrato a Milano, apprese l'intreccio segreto delle stoffe di luna.
   - Va bene, oramai puoi usarle - disse Maria quando rivide quelle stoffe, luminose e cedevoli e spavalde, tra le mani del sarto - però non devi dirlo mai a nessuno! Non devi dire né come si fanno, né dove le hai prese. Puoi usarle tu e basta.
   A dire il segreto della tessitura, dei componenti, dei trattamenti, il sarto non ci pensava nemmeno per sogno. Ma a dire da dove veniva quel segreto, a raccontare quella storia di magie in verità ci aveva ben pensato: anzi, era quella la trovata dell'affare. Nessuno ci avrebbe creduto, beninteso, ma quella favola avrebbe aggiunto alle sue stoffe un bel chilo di fascino in più.
   Così lo disse.
   Disse ben forte, con cartelli e belle foto, che erano in vendita le stoffe delle fate.
   "Tela luna" e "seta jana" le chiamò, e con quei nomi brevettò il tessuto. "Tela luna" suonava perfino come "Cala Luna" - gli spiegarono infatti gli esperti - e negli ultimi anni oramai quasi tutti i compratori d'Italia eran stati turisti in Sardegna: avrebbero ricordato volentieri, e sognato, e comprato. E il sarto vendette e vendette, e così cambiò nome anche lui: non si chiamò più sarto, ma stilista. Fece tantissimi soldi, e tutti videro, si accorsero, sentirono parlare di lui: proprio come lui stesso aveva detto imprecando su quelle tute un anno prima.
 

   Un anno dopo tutto precipitò.
   Era venuto l'inverno del nord, un inverno piovoso come non si vedeva da anni. Pioveva sulle immense città affrante, pioveva sulla campagna derelitta, sulle bluse di seta jana, sulle gonne di tela luna, piovevano guai sullo stilista Lai.
   Le camicette cominciarono a squagliarsi a novembre, le gonne a Natale erano già poltiglia: i capi lasciavano addosso ai loro padroni un fortissimo odore di timo, di fichidindia, di maestrale. E tutti allora scappavano a lavarsi, dapprima sbigottiti e spaventati, e poi infuriati col negozio di moda che aveva venduto loro quel bel pacco.
   E il negozio di moda si infuriava col rappresentante, e questi col distributore, e questi con la fabbrica, e su di furia in furia fino a lui, Beppe Lai, lo stilista. Che divenne intrattabile, tetro, e gridava furioso in famiglia, e sgridava la figlia.
   - Non gridare, papà, ti ricordi? Quella lì lo diceva.
   - Chi, lo diceva? Cosa?
   - La Prinzipalissa. Diceva: se raccontate il segreto delle janas, la stoffa si scioglie alla sua prima pioggia.
   - E piantala con queste mattane, che hai già dieci anni! Togliti il ciuffo, guarda in faccia la realtà! Le camice non si sciolgono alla pioggia!
   Era vero, forse non si erano sciolte, tutte quelle camice: forse questo era ciò che lei vedeva, guardando con l'occhio sinistro. Ma se spostava il ciuffo, cambiava qualcosa? Le vendite erano già in calo da novembre, ed a Natale erano già sotto zero. Qualcuno dei celebri esperti diceva che forse avevano un po' esagerato gonfiando il prodotto.
   Appunto, che ora si scioglie! - diceva Maria.
   Qualche altro diceva che avevano un po' esagerato con l'alone fatato.
   Appunto, che con le jane non si scherza! - diceva Maria.
   No, tanto valeva rimettere il ciuffo al posto suo.
   Anche perché era ben divertente, camminando per strada, vedere le donne eleganti impallidire, mentre le gonne colavano marron lungo le lunghe gambe. E allora guardare lontano, con l'occhio fatato, per vedere la Prinzipalissa, che rideva e rideva sdentata, rossa e grassa, e col capo faceva sì sì...
   Beppe Lai ritornò a fare il sarto, e con gli anni si rassegnò a quel mestiere, imparando perfino ad amarlo e calmandosi un poco. Oltre tutto non gli andò così male: gli restava il buon nome bastante a procacciargli lavori più adeguati alla sua mano, che era abile e felice nel tagliare. Quanto a Maria, finché tenne quel ciuffo, si divertì a esplorare in lungo e in largo quel suo mezzomondo mancino.
   Vedeva pantere nere sdraiarsi nel cielo e portare la notte; vedeva le cicale della tosse, con le ali verdi e le gole rosse; sentiva cantare gli allarmi delle auto come conchiglie di naufraghi lontani. Vide un giorno sui muri i manifesti mescolarsi in un gran quadro di sogni, e tutta la sua città farsi teatro, e un bambino da solo avanzare con passo commosso, la danza quieta di chi riconosce e ritorna. Sentì cantare, in un paese di Sardegna, un banditore che parlava di pere guancia rossa: ed ebbe un brivido, perché cresceva, e intuì l'amore.
   Ma crebbe, e fu inevitabile: pian piano, quell'occhio orgoglioso che guardava il mondo sdegnando i consigli dell'altro, divenne un incantesimo cattivo. Maria Mezzomondo credeva a tutto ciò che vedeva, voleva tutto ciò che credeva, e molto patì.
   Finché un giorno, con l'aiuto di una Quercia, finalmente cambiò pettinatura.
   Ma come accadde ciò è narrato altrove, perché queste tre storie di uomini che parlano ad altri che ascoltano, che mostrano ad altri che guardano, finiscono qui.
   Nessuno del suo mestiere si approfitti.


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