Comitato di solidarietà alle vittime delle stragi
    ANTIGONE DELLE CITTA'
    Una cerimonia civica e teatrale per la memoria delle vittime della strage di Bologna

    Primo anno, Bologna, 1 agosto 1991



    I TESTI TEATRALI
    Quadro secondo

    L'INDIGNAZIONE

    Testo corale per Piazza Maggiore
    a cura di Bruno Tognolini

    INDICE

       Quadro primo: "LA LAMENTAZIONE"
          
    Copione per i dieci gruppi nelle dieci piazze

       Quadro secondo: "L'INDIGNAZIONE"
           Testo corale per Piazza Maggiore

      A . LE AZIONI

    • 1. L'arrivo in Piazza e la rete di poesie
    • 2. I Cori, i Messaggeri, la Banda
    • 3. La Storia di Antigone
    • 4. Azione corale: i Giovani e il Poeta
    • 5. Finale delle pietre

    • B . I TESTI

    • 6. Primo testo: LA STORIA DI ANTIGONE
    • 7. Secondo testo: LA PARTITURA DEL CORO
    • 8. Terzo testo: LE NUOVE MURA


      CONCLUSIONI


    • 1. "Di questo"
    • 2. Questioni


    Trascrivo un brano della Premessa al Copione per le dieci piazze.

    Le prime stesure dei testi erano composte da brani letterari alternati a titoli d'azioni ("ciechi", "black­out", "saluto ai morti", etc.), meri promemoria degli attacchi e dei segnali, scritture di servizio che non avevano alcuna leggibilità all'esterno.
    In seguito, poiché invece era inevitabile un certo uso pubblico dei testi, la descrizione delle azioni si è arricchita di dettagli: inutili a ricordare le azioni a chi le conosce già, ma utili a suggerirne un'idea a chi legge senza vederle.
    Nel testo che segue, queste descrizioni delle azioni non si intersiano ad esse, ma si raccolgono in cinque brani didascalici iniziali (A . LE AZIONI), che narrano l'intero evento di Piazza Maggiore, senza riferimento ai testi. Seguono i tre testi (B . I TESTI), senza riferimento alle azioni.



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    A . LE AZIONI

    1 . L'arrivo in Piazza e la rete di poesie

    Dopo le azioni nelle dieci piazze, i dieci gruppi giungono in Piazza Maggiore da diverse direzioni, seguiti dai loro spettatori. Gli attori, con le loro borse piene di pietre, si disperdono uniformemente tra il pubblico per tutta la piazza, occupando posti prestabiliti, a formare una RETE. Si spegne la luce centrale sulla piramide, l'intera Piazza viene illuminata da macchie di luce, e la rete delle presenze si fa sonora: gli attori cominciano a dire i loro brani dai tre poeti, rimandandosi l'eco a vicenda. Il ritmo e il tono crescono, e in breve formano un vocìo diffuso.

    Simultaneamente, la rete si stringe: gli attori, facendosi strada tra la folla e senza smettere di dire, si avvicinano alla piramide, ne raggiungono la base, la circondano di una fila continua, e infine si girano faccia al pubblico sui quattro lati. L'intensità del flusso di voci cresce ancora, raggiunge un acme, e lì viene rotta bruscamente da un primo "NO!" che risuona forte all'impianto acustico: tutti i cento attori tacciono di colpo e crollano al suolo. Si rialzano quindi di scatto e riprendono il vocìo, interrotto da un secondo "NO!", e quindi da un terzo.


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    2 . I Cori, i Messaggeri, la Banda

    Al terzo levarsi dal suolo tutti i cento attori sciamano via di corsa, sulla piramide (senza mai attraversarne la cima) e sul lastricato libero che la circonda. La gran parte corre ad occupare i luoghi prestabiliti per l'azione corale successiva: sui quattro lati della piramide, seduti a mezza altezza presso gli spigoli, si formano quattro gruppi coreutici (le DONNE, il DISINCANTO, i GIOVANI, il CORO). Gli attori che fanno parte della BANDA corrono invece a raggiungerla nella sua postazione, fuori del perimetro scenico, sul lato verso il Nettuno.

    In pochi istanti tutti son fermi, e restano in corsa solo una decina di attori­danzatori: i MESSAGGERI, che rigano di voli radenti l'intera piramide. Una danzatrice, infine, si ferma sola, in cima e al centro, e leva un braccio: al suo gesto (l'Annuncio) la BANDA intona la melodia "Modeh ani", e i MESSAGGERI prendono a macchiare il biancore della piramide, seminandovi sopra una terra scura. All'attacco della musica il gruppo delle DONNE si alza e si avvia lento e compatto, fendendo la folla, verso il sagrato della Chiesa.


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    3 . La Storia di Antigone

    Lì, in cima alle scale, attendono le tre ANZIANE DELLA MEMORIA (le vecchie signore bolognesi che leggeranno la Storia di Antigone). Vengono sostenute con affetto dalle dieci giovani DONNE, in un gruppo­composizione che attraversa lento la folla verso la piramide, e infine in cima ad essa. Durante il tempo di questa processione, accompagnata dalla musica, i MESSAGGERI continueranno a intrecciare corse e a seminare terra. Infine, giunte in cima alla piramide, le ANZIANE si dispongono a triangolo di spalle l'una all'altra, quindi rivolte all'intera Piazza; le DONNE siedono ai loro piedi, tutt'intorno, a formare un altro gruppo­composizione, che affida ad esse il racconto; i MESSAGGERI scompaiono unendosi ai loro gruppi coreutici, la musica tace, e le tre raccontano la "Storia di Antigone". Durante il racconto, tutti gli attori sulla piramide si volgono a loro in ascolto.

    Al suo termine, la musica riprende, le DONNE si levano e sostengono le ANZIANE nella discesa. Quindi le lasciano sul bordo esterno dello spazio, alla prima fila del pubblico, e tornano al loro sito, presso lo spigolo della piramide che guarda la Via Rizzoli.


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    4 . Azione corale: i Giovani e il Poeta

    Durante questa processione del ritorno, sul versante opposto della piramide parte l'azione dei GIOVANI. Anche loro, sull'attacco della musica, lasciano la loro posizione e corrono verso il margine dello spazio scenico rivolto al Nettuno. Lì li attende il POETA, seduto su un carro portabagagli della stazione. I GIOVANI spingono e tirano a gran fatica questo carro su per l'erta; già vicini alla cima, desistono, frenano il carro, sollevano di peso il grosso baule su cui il POETA siede, e lo issano a braccia sul piano della piramide. Quindi riconducono il carro a terra, e la musica tace.

    Una delle DONNE dà l'avvio alla partitura del Coro con l'epigramma di Fortini "La passione contro il male non lo incalzi troppo dappresso. Indignarsi è consolarsi... " etc. Cui fa eco il POETA, e di seguito l'intero testo dell'azione corale.

    Durante questa azione, il massimo movimento è affidato al numeroso e forte gruppo dei GIOVANI: gli altri Cori resteranno nelle loro postazioni, levandosi in piedi soltanto alla battuta. I GIOVANI, da principio, percorrono camminando in gruppo compatto i quattro lati della piramide, a mezz'altezza: ogni tanto qualcuno cade, tre compagni si fermano a sostenerlo e quindi deporlo sulla pendenza (gruppi­deposizione), quindi raggiungono il gruppo (che aveva proseguito). Alla fine di questa sequela, la piramide sarà rigata da una linea sinuosa di corpi giacenti, a mezz'altezza. E da quella posizione i GIOVANI diranno la loro prima battuta, a suo tempo. Ancora si alzeranno, formeranno coppie che vanno, ancora uno dei due cadrà e l'altro lo sosterrà (gruppi­pietà), e da quella composizione diranno i loro testi.


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    5 . Finale delle Pietre

    E così via, attraverso una serie di figure, schieramenti e corse, che interpungono le loro battute, e li portano a dirle ora sull'uno e ora sull'altro lato della piramide, nel loro forte contraddittorio col POETA, e per tutto il testo.

    Alla fine, si troveranno riuniti in mucchio compatto alla base del lato che guarda la Chiesa. Lì l'ultimo morto cade, e viene questa volta sollevato sulle teste, come in un funerale indù, e mosso su un brulichio alto di mani verso la cima. Dove verrà deposto, infine, fatica inutile di Sisifo realizzata, accanto al POETA. E dove pronuncerà, giacendo, alcuni dei versi più forti del poema di Fortini ("Questo è il vero giudizio finale...", etc.).

    L'azione volge alla fine. Il POETA lancia il suo "proclama" (il testo "Le nuove mura") mentre i GIOVANI, e tutti gli altri Cori, scendono alla base della piramide, riformando una fila quadrata intorno ad essa, prendono le loro borse, e quindi salgono nuovamente con lentezza. Ora, e per la prima volta, tutti i cento attori sono una folla accalcata sulla cima, e il POETA tra loro è scomparso. Qui dicono, tutti insieme, la loro ultima battuta ("Conoscerà ciascuno una cosa vera...", etc.). Poi tacciono tutti.

    La tensione sale nel silenzio, la pietra che i cento stringono nella mano lentamente viene levata, forse nella volontà di scagliarla: ma il lancio raggiunge la sua soglia di scatto, e lì si blocca. Il gesto, paralizzato, verrà sostituito dal canto, pacifico e insieme minaccioso, che ora nasce senza microfoni, forte, da cento voci spiegate.

    Alla fine del canto, i cento lasciano cadere la loro pietra lungo il pendio; quindi mettono mano alle borse, e rovesciano le altre pietre che vi erano contenute. L'effetto è quello di una frana, il rumore è un treno.

    L'azione è finita. I cento attori scendono lentamente dalla piramide, si avvicinano al pubblico, offrono le pietre, invitano a raccoglierne altre, ed a seguirli con esse nella processione. Che subito partirà, con la musica, verso Via Indipendenza.


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    B. I TESTI

    6 . Primo testo: "LA STORIA DI ANTIGONE"

    La genesi drammaturgica di questo testo è ben descritta nel Racconto: aggiungerò solo che è uno dei pochi scritti interamente da me. Antigone è di certo una potentissima metafora, attenuata dal solo fatto che la sua vicenda è sicuramente ignota a tantissimi spettatori. Era nostro dovere raccontarla.


    Questa è la storia di Antigone, che volle seppellire il cadavere del fratello contro gli ordini del Re, e che fu fatta morire per questo.

    Edipo, il grande e disgraziato re di Tebe, era morto, e dopo di lui era morta anche la sfortunata regina Giocasta. Avevano lasciato quattro figli: i due guerrieri Eteocle e Polinice, e le due ragazze Antigone e Ismene. Ma poiché questi erano giovani, al trono salì il tiranno Creonte, fratello di Giocasta, e loro zio.

    Tebe era in guerra con Argo, città nemica, e un brutto giorno Polinice tradì: si mise alla testa dell'esercito nemico, perché diceva che il trono spettava a lui, e così voleva conquistarlo. La guerra fu molto dura, e alla fine Tebe vinse, ma i due fratelli nemici si batterono a duello fuori delle mura, e si ammazzarono a vicenda.

    Allora il re Creonte disse che la guerra era finita, e che bisognava festeggiare e dimenticare tutto. Ma fece anche un editto che vietava di seppellire il corpo traditore di Polinice: che stesse lì sotto il cielo, e se lo mangiassero i cani. E che chiunque non obbedisse a questa legge fosse condannato a morte come traditore della patria anche lui.

    Antigone non voleva obbedire, e chiese aiuto alla sorella Ismene. Ismene anche lei voleva molto bene a Polinice, ma era timida e innocente, e disse:

    "Meschina, io cosa posso fare e disfare? No, bisogna pensare che siamo solo due donne, e non siamo nate per lottare con uomini. Chi regna e comanda è molto più forte di noi."

    Antigone insisteva, e Ismene disse: "Non ci si mette a caccia dell'assurdo."

    Ma non ci fu niente da fare, Antigone aveva fatto la sua scelta. Andò sola e di nascosto, e per proteggere il fratello dall'offesa dei cani, sparse della polvere sul suo corpo. Fece così... Solo un po' di polvere. Ma c'era una guardia messa lì da Creonte e la guardia la catturò. Poi andò da Creonte e disse: non l'aveva proprio sepolto, c'era solo uno strato sottile di polvere. Creonte fu colto dall'ira, e fece un discorso agli anziani, dicendo così:

    "L'anarchia è il peggiore dei mali, quello che distrugge gli stati, spiana le case, disperde gli alleati: e invece nell'obbedienza sta la salvezza di tutti."

    Poi chiese ad Antigone perché avesse disobbedito alle leggi, e lei disse che quelle erano leggi di Creonte, non di Zeus, e che c'erano altre leggi più importanti, che dicono che bisogna onorare i propri morti. E disse così:

    "Non sono di oggi, non sono di ieri, vivono sempre, nessuno sa quando sono comparse, né dove. Ma nessun uomo poteva costringermi a violarle."

    Creonte allora le disse: "Sei tu sola a Tebe che la pensi così."

    E Antigone indicò il Parlamento degli Anziani e disse: "No, anche loro, ma tacciono avviliti."

    E infatti gli Anziani tacevano, o dicevano cose ambigue, o cose che davano ragione al re.

    Non ci fu niente da fare. Antigone fu condannata ad essere sepolta viva, e mentre le guardie la portavano via disse così, ma a testa alta:

    "Guardatemi, concittadini miei! Io vi chiamo! Siatemi testimoni!"

    E poi disse: "E sopratutto vi prego: non parlate di destino.
    Parlate di chi mi uccide senza colpa. E' lui il destino!
    E non pensate neppure di esservela scampata: altri corpi straziati giaceranno insepolti, sopra altri insepolti, sopra altri insepolti, sempre!
    Voi avete visto. E allora ricordate.
    Conservate la memoria di ciò che è accaduto, e che può ancora accadere.
    Diverso, ma può ancora accadere. Addio."

    E così fu portata via, e fu sepolta. Dopo un certo tempo arrivò da Creonte il sacerdote cieco Tiresia, e gli disse che i sacrifici negli altari non venivano più bene, perché il sangue grasso di Polinice insepolto stava contagiando tutto. Ma Creonte non gli credeva, e diceva che i morti erano morti, e non potevano contaminare gli dei. Allora Tiresia disse che era il contrario, e che il marciume di quel morto era un'epidemia d'odio, che aveva già contagiato il cuore dello stato. Le sue parole precise anzi furono queste:

    "Scoppiano epidemie d'odio, nelle città, quando pezzi di esseri umani son consacrati da cani, da belve, da uccelli che portano l'empio lezzo proprio fino al cuore dello stato."

    E solo allora il Re si spaventò, e corse a seppellire Polinice, e a liberare Antigone, ma ormai era troppo tardi. Antigone era morta, e di lì a poco tutta la sua casata cadde in lutti e rovine, come Tiresia aveva detto. Solo Creonte visse, infelice e nomade per le terre.

    Questa è la storia di Antigone, accaduta duemilacinquecento anni fa.
    Ve l'abbiamo raccontata perché la sappiate.


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    7 . Secondo testo: "LA PARTITURA DEL CORO"

    Rimandiamo di nuovo al Racconto  per una descrizione più approfondita della genesi drammaturgica di questo testo. Qui sintetizziamo, per i frettolosi, che è nato dal montaggio di brani tratti dai Testi poetici di Franco Fortini e Franco Loi, e che scelta e montaggio dei brani sono stati operati da Marco Baliani, sulla base di criteri e esigenze che ancora il Racconto descriverà meglio.



    UNA DONNA: - La passione contro il male non lo incalzi troppo dappresso. Indignarsi è consolarsi. L'indignato finisce nel comico. Egli si congratula con se stesso, che ha un'anima così ben fatta da scaldarsi per il bene, la giustizia e la verità.

    POETA: - E voi tornerete alle case con una pietra
    sul cuore come nel pugno una pietra vera.

    DONNE: - Oh quanta gente
    morta su una strada
    la storia è passata senza vedere!
    Oh quanta gente
    morta su una strada
    sembra aspettare
    e non aspetta più...
    E passa l'aria
    e corre lontano
    dove la gente sogna che la vita
    si tiene nascosta
    ma un giorno tornerà.

    CORO: - Dove la gente sogna che la vita
    si tiene nascosta
    ma un giorno tornerà.

    POETA: - Anche i morti non tornano più in sogno.

    DISINCANTO: - Della vostra indignazione me ne sbatto
    mi importa solo quello che sapete
    per questo mi pagano
    e poi venga a vedere la mia collezione di disegni di Delacroix.

    CORO: - Ci avete spinto tra le ombre,
    noi, compagni ai morti,
    noi, che nell'antica tragedia
    eravamo ammessi nel coro,
    eravamo il coro.

    POETA: - Anche i morti non tornano più in sogno.

    DISINCANTO: - Straccione laureato in improbabili università
    non mi faccia ridere, disse l'ambasciatore al ministro
    disse il ministro al sindaco
    disse il sindaco a me
    a me a te a tutti non mi faccia ridere.

    POETA: - E dal portone uscirono i blindati dei carabinieri
    uscirono le camionette graticolate della polizia
    uscirono i provocatori in borghese trascinando
    i più bei cadaveri dello scorso mezzo secolo
    perché la gente vedesse e la mia verduriera (Orsola Ribetti)
    svenisse a quello spettacolo e svenuta giurasse ad alta voce
    che non aveva mai pensato neanche in sogno
    di turbare l'ordine pubblico l'orario delle sedute
    la processione delle panetterie il memorandum il recapito delle schede.

    GIOVANI: - Tutti i morti a faccia in giù presto sostituiti
    da viventi
    parlanti
    sudanti
    chiavanti
    mangianti
    sniffanti
    da viventi
    studenti
    poetanti
    recitanti
    caganti
    cantanti
    votanti
    tutti i morti vivissimi immortali del niente.

    CORO: - Ci avete spinto tra le ombre,
    noi, compagni ai morti,
    noi, che nell'antica tragedia
    eravamo ammessi nel coro,
    eravamo il coro.

    DONNE: - Oh noi non siamo innocenti!
    Anche noi dimentichiamo.
    La memoria è più corta
    della costanza e della fedeltà.
    Ci siamo vestiti di nebbia.

    CORO: - Ci siamo vestiti di nebbia,
    abbiamo creduto alla forza delle pietre.

    POETA: - Tutte le rovine sono restaurate
    inutile distinguere le pubbliche calamità dalle pubbliche volontà
    importante è non trovarsi sulla traiettoria.

    DISINCANTO: - Importante è non trovarsi sulla traiettoria
    la civile città la città civile la città vile
    la vile verità
    smettiamola una buona volta questa ironia cretina
    queste gesticolazioni tragiche.

    CORO: - Ci siamo vestiti di nebbia,
    abbiamo creduto alla forza delle pietre.

    GIOVANI: - Parla dell'amore che bisogna strappare e mangiare.
    Comanda che tempo non c'è che per sempre
    tutto se non si vince ritornerà.
    Dì come ci hanno uccisi e i nomi dei nemici.
    Tenta di persuadere. Pretendi, Interroga.

    POETA: - Questa sera ho da fare
    una persona cara è molto malata
    mia cugina ha avuto un incidente d'auto
    il mio migliore amico è riuscito ad essere ammesso
    agli esami di procuratore
    caro signore
    non so se capisce che cosa significa.

    CORO: - Passi svelta la vita.

    DISINCANTO: - Chi ha dato ha dato i parenti delle vittime
    non avranno una lira che è una lira
    parola di papa parola di presidente parola di chiunque
    chi uccide a colpi di bombe è un patriota
    Tornado o valigia fa lo stesso
    chi brucia a colpi di bombe difende la civiltà
    il Papa
    l'Occidente
    gli Stati Uniti
    le concedo: anche l'Unione Sovietica
    Dante Mozart e tutti quanti
    chi non sa che cos'è la civiltà torni a casa
    prenda una enciclopedia e lo impari
    e fuori dalle balle gli estremisti
    di destra e di sinistra l'avete vista la Russia com'è finita
    la Cina l'avete vista e la Rumenia
    la Cambogia il Vietnam il Muro
    ve lo siete preso nel bocciòlo.

    POETA: - E quei nostri morti
    vi guardano dal paradiso pallidissimi
    e assai sconcertati per l'altitudine, li ho visti in TV.

    CORO: - Eppure cantavamo ancora.
    Eppure cantavamo ancora.
    Eppure cantavamo ancora.
    Ombre fuori dal teatro,
    oggi ci aggiriamo come folli,
    non più specchio a voi, e a noi,
    come nuvole
    che attendono il vento.

    DISINCANTO: - Piantatela
    cercate di sparire presto da questa terra.
    Non ci deve restare nessuno neanche noi che parliamo.
    L'estate passi presto. Passi svelta la vita.

    CORO: - L'estate passi presto. Passi svelta la vita.

    GIOVANI: - Anche i morti non tornano più in sogno.
    Chi ricordava confonde gli amici e i nemici.
    Quando all'orfano dici: "Ho conosciuto tuo padre"
    va via senza rispondere.

    DONNE: - Memoria, memoria...
    Per chi? A chi?
    Noi, le pietre scartate
    siamo la scabbia e la ricchezza
    della vita.

    POETA: - Chi vi ha detto che non si vive senza giustizia?
    Ci si vive benissimo.

    DISINCANTO: - Me lo ha detto
    il sottosegretario all'urbanistica,
    il colonnello della Guardia Civile Vitalizia,
    lo specialista di stilistica statistica.

    POETA: - Chi ha detto che non si vive senza lapidi?
    Ci si vive benissimo.

    DISINCANTO: - Me lo ha detto
    il vicepresidente della Corte delle Cortesie
    l'agente notturno dei treni rapidi
    lo specialista di balistica artistica.

    POETA: - Chi ha detto che non si vive senza vivere?
    Ci si vive benissimo.

    DONNE: - Solo lei, l'ombra dei morti non passa,
    rimane come una nuvola ferma
    pesante tra le piaghe
    dure del cielo.

    GIOVANI: - No, non pensate
    a noi con indulgenza.
    Abbiamo sopportate mostruose cose fra noi
    dicendole insopportabili, scrutando
    sorrisi di condiscendenza
    sul volto dei nostri assassini...
    Ascoltateci, ascoltateci, razza di vipere.

    CORO: - Ci si vive benissimo.

    DISINCANTO: - Cittadini di Bologna, non indignatevi.
    E' tutto uno scherzo.
    Le stragi sono il destino degli uomini e delle donne
    e dei bambini e della Guardia Civile. Anche i Servizi che servono
    sono il destino dell'uomo.
    E' stato uno scherzo.
    Con tante scuse.

    DONNE: - Ma Dio, che troia mondo,
    che sporca umanità e che vergogna
    di noi a noi stessi, e che svuotamento,
    se la memoria è topo di fogna
    e lo scherno s'aggiunge al patimento.

    CORO: - Loro sono pietre fredde,
    sono là, aspettano,
    hanno pazienza, i morti.
    Non gridano, non fanno chiacchiere.

    DONNE: - Loro, qui con noi, qui,
    che sognano, che guardano qui,
    che aspettano.

    GIOVANI: - Razza di vipere, state tranquilli, non dicevano nulla.
    State tranquilli, giudizio finale non c'è.
    Nessuno verrà a giudicare i vivi e i morti.

    CORO: - Era tutto uno scherzo, possiamo
    andar via dalla vita senz'altre scuse e per sempre.

    POETA: - Negli anni della mia vita le vittime innocenti
    hanno coperto di corpi i continenti.
    E potrei farvi piangere e saprei farvi gridare
    ma non serve al difficile lavoro che abbiamo da fare.
    Per questo queste parole non sono poesia
    se non per una rima debole che va via
    di riga in riga sibilo o memoria
    o augurio o rimorso per qualcosa che fu gloria
    o pietà per la nostra storia feroce...

    GIOVANI e POETA: - Ma se vi dimenticherete di questa notte;
    se vi dimenticherete di voi stessi,
    se anche una sola parola
    di quelle che ora diciamo
    vi entrasse ora nella crema del cervello
    e se voi nel futuro non la ricorderete
    come fossero non quello che sono
    il balbettio di un vecchio
    ma la musica grande
    del mondo vero;
    e farete finta di nulla
    allora vi dico:

    GIOVANE MORTO: - questo è il vero giudizio finale:
    dimenticare di avere voluto
    essere veri giusti eguali liberi
    e non sentirne più dolore:
    questa è la nostra condanna finale e per sempre.

    CORO: - Questa è la nostra condanna finale e per sempre.

    POETA: - Non avrete madre né padre né mogli né figli
    né donne amanti né amici ridenti
    e al momento del bisogno
    al momento del sogno
    ultimo, vorrete ricordarla,
    la piccola verità,
    la confusa verità
    di questa nostra teatrale pietà
    per noi, per te, per questo mondo che abbiamo sporcato.

    GIOVANI: - Ma le cose che non sappiamo di volere
    le cose che non sappiamo di vedere?

    POETA: - Sono là, dove se ne è andato il vento
    alto altissimo su tutta l'Emilia Romagna,
    l'Italia, l'Europa, l'Oltremondo
    il vento che agli altìmetri non parla
    ma solo, la notte, a qualcuno e per sempre.

    CORO: - Ed ora l'uomo è ombra dell'ombra,
    l'aria vuota di ogni grido.
    E noi, ombre, parliamo nel silenzio
    dei poeti.

    DONNE: - L'amore dello stesso sole
    che in cielo va in uno svolo
    dentro al nostro cuore tace e tramonta...
    E quel grido doloroso
    nessuno lo sente
    tra levante e ponente
    nel calor luminoso...

    POETA: - Dunque fra poco tutto sarà compiuto
    Ogni cosa sarà ferma tra noi
    Al suo riposo come un giorno compiuto.
    Conoscerà ciascuno una cosa vera.
    E voi tornerete alle cose con una pietra
    Sul cuore come nel pugno una pietra vera.
    Domani sopra i tetti il sole griderà
    le grandi opere ignude delle montagne
    E noi e voi torneremo al lavoro.

    CORO: - Conoscerà ciascuno una cosa vera.
    E voi tornerete alle cose con una pietra
    Sul cuore come nel pugno una pietra vera.


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    8 . Terzo Testo: "LE NUOVE MURA"

    Questo testo è stato scritto a quattro mani, da Marco Baliani e da me.


    Raccontano che anticamente le città erano costruite sui morti. Gli antenati erano sepolti là sotto e i loro corpi davano cibo alle mura, che crescevano robuste, sane e belle.
    Ma i morti, per poter riposare in pace, hanno bisogno che la loro storia sia narrata tutta intera, che sia detta la loro morte, tutta intera, dai vivi che restano, dalla memoria di quelli che verranno.
    Se questo non accade, vedete, nessuna tomba è pura, i morti restano ombre potenti, e i corpi immensi contageranno il cuore dello stato.
    E allora che razza di città, quale stato, quale nuova repubblica può essere mai costruita su questi morti inquieti? Su questi antenati che non abbiamo mai soddisfatto con la sottile polvere della verità? Ed è per noi, non è per loro, attenzione: noi, non loro, dovremo vivere poi in "quella" città.
    Eppure la pietra qui nella mano è pronta, vedete come è bella, è dura, è vera. Prendetela, come un pegno. La sua storia è ancora tutta da narrare. E' il pezzo mancante della città da edificare.


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    CONCLUSIONI

    1 . "Di questo"

    Nel 1922 Vladimir Majakovskij scrive un poema che ha per titolo "Di Questo". Intorno a lui, i poeti zelanti della RAPP intonano inni rivoluzionari, larghi e virili, e servili. Ma lui in quel momento ha altri problemi: Lilja Brik l'ha lasciato. "Di che cosa? Di questo?" - si chiede il capoverso del poema. Di questo: "il massimo poeta della rivoluzione", vuole parlare "di questo tema/angusto/e personale", del suo amore. Questo cortissimo e potentissimo proclama di settanta anni fa, solo invertendo i termini, torna buono per oggi.

    Oggi che scrivo Giovanni Falcone è saltato in aria con la moglie e tre agenti della scorta: e tutti i commenti continuano a parlare di mafia che attacca lo Stato, non di mafia dentro lo Stato. Ieri, gli imputati neofascisti della strage dell'Italicus sono andati ancora assolti in Cassazione. Dovunque, a Roma e a Sagunto, si discute. Ma di che cosa stanno parlando?

    Come a teatro, dove sempre più spesso, a me e a molti, capita di sedere storditi, con un senso di esilio, di estraneità: di che cosa stanno parlando?

    Perché il teatro non parla mai "di questo"?

    E perché stavolta, invece, ne ha parlato?

    Fin qui, ho raccontato un processo teatrale di alta temperatura umana e politica: ma che poteva esser teso a parlare di ogni cosa. Invece era stato chiamato a parlare della strage di Bologna. Ed ora, che dopo tante pagine anch'io sono giunto dove dovevo, cioè a parlare "di questo", non ho più pagine di racconti e ipotesi, ma solo un breve elenco di domande, uno scarno questionario da offrire.


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    2 . Questioni

    E' giusto ricordare le stragi e l'impunità dei colpevoli?

    E' giusto ricordarle pubblicamente?

    Tra le tante forme di cui può servirsi questa commemorazione pubblica, comizi, cortei, documentazioni, concerti, film: è opportuno utilizzare anche il teatro?

    E il teatro: può parlare del presente?

    Più stretto: di fatti specifici del presente? Per esempio, delle stragi?

    E perché solitamente non lo fa?

    A chi ne può parlare: ai pubblici abituali nelle sale?

    A un'intera città radunata nelle piazze per un rito civico, per esempio la commemorazione di una strage?

    Il teatro può "officiare" un rito civico?

    E perché solitamente non lo fa?

    Il teatro può parlare direttamente di fatti dell'oggi - per esempio le stragi - "facendo i nomi", e con nuovi testi scritti per questo scopo? O solo "dietro" allegoria, e "mediante" testi classici?

    Si può dire in scena "Bologna", o solo "Tebe"? Si può dire "SISMI", "SISDE", "Licio Gelli", o solo "Creonte"?

    Un teatro che parla non a una sala di pubblico teatrale, ma a una piazza di cittadini, è snaturato?

    Un teatro che dopo aver "parlato a" una piazza di cittadini, "agisce con" questi cittadini, li invita a compiere atti e gesti insieme, per esempio a prendere un pietra e portarla in processione: è snaturato?

    Perché, oggi e qui, in Italia, un teatro civico e rituale secondo questi termini non esiste?

    Un teatro che parla direttamente del suo tempo, facendo i nomi, o con un velo sottile d'allegoria, e un teatro rituale che condivida anche i gesti con molti, sono stati possibili in certi momenti storici. Quali condizioni li hanno resi possibili?

    E quali li vietano oggi?

    E come mai allora noi, il primo agosto del novantuno, abbiamo potuto parlare "di questo", e in questo modo?




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    Questa pagina è stata aggiornata l'ultima volta il 2 maggio 1997.