Bruno Tognolini
IL GIARDINO DEI MUSI ETERNI
Romanzo per ragazzi e per tutti
Adriano Salani Editore, febbraio 2017

Rilegato, copertina rigida, 224 pagine, 13.90 EURO





Libro del mese di febbraio 2017 a Fahrenheit
L'intervista di Loredana Lipperini,
Fahrenheit, Radio Tre, 07/03/2017

Libro dell'anno 2017 a Fahrenheit, Radio Tre
Purtroppo le risorse web RAI sono spesso obsolete,
e l'intervista di Loredana Lipperini non è più accessibile
Qui il mio Quadretto per grazia ricevuta su Facebook,
sottoscritto dall'entusiasmo dei lettori

Finalista nel Premio Strega Ragazzi
Nella cinquina della sezione +11 per l'edizione 2018

Premio LiBeR Miglior Libro 2017
Prescelto da una giuria di 56 esperti


Il libro può essere acquistato online presso





Home Page di Bruno Tognolini
Gli umani che guardano negli occhi gli animali
lo sospettano già.
E se in fondo non ci fosse da cercare così lontano?
E se gli Eterni fossero proprio i loro cani,
i loro gatti, le loro tartarughe?



PRESENTAZIONI
  • Dai testi di copertina
  • La lettera ai librai
  • Umani e animali nell'Alba del Tempo

  • RECENSIONI
  • M.Mundi, Firufilandia (blog), 03/02/17
  • V.Lamarque, La lettura del Corriere della sera, 04/02/17
  • S.Fiori, Il Venerdì di Repubblica, 10/02/17
  • D.Pinna, L'Unione Sarda, 11/02/17
  • R.Sanna, La Nuova Sardegna, 11/02/17
  • LIBRO DEL GIORNO a Fahrenheit, RadioTre, 21/02/17
  • LIBRO DEL MESE a Fahrenheit, RadioTre, 07/03/17
  • Cafè literaire da Muriomu (blog), 24/02/17
  • N.Gramantieri, Note per la presentazione a Bologna, 25/02/17
  • F.Rotondo, L'Indice dei libri del mese, n. 3/2017
  • Il mondo di sopra (blog), 10/03/17
  • Reading at Tiffany's (blog), 14/03/17
  • R.Favia, Teste Fiorite (blog), 12/04/2017
  • RAI Radio 2, Ovunque6, 15/04/17 (da 39' a 45')
  • A.Pedemonte, Andersen n. 341 aprile 2017
  • N.Gramantieri, Hamelin, n. 43 aprile 2017
  • L.Bolzoni, Librintasca, Radio Svizzera, 14/04/17 (da 17' a 22')
  • N.Gramantieri, Quilibri, anno VIII, n. 41, maggio/giugno 2017
  • N.Gramantieri, Liber, n. 115, luglio-settembre 2017
  • M.Arca, Unione Sarda, 12/12/17
  • C.Cossu, La Nuova Sardegna, 12/12/17
  • Rai Cutura/Letteratura, Intervista, 14/12/17
  • S.Liverini, La coda dei libri (Facebook), 27/12/2017
  • Videorecensione, Giovani Storie (Facebook), 23/01/2018

  • LA VIGILIA DI UN'OPERA
  • Premessa: non si parla della storia
  • Ci sono più cose in un guscio di noce
  • Sentimenti solitari e indicibili
  • Tassonomia degli amori conformi
  • E fra individui di diversa specie?
  • I cimiteri virtuali degli animali
  • Dall'immaginazione alla visione
  • I cimiteri reali degli animali
  • La sorgente dieci anni prima
  • Inventio, Dispositio, Elocutio...

  • LA RICERCA
  • Immagini per l'immaginazione
  • Notizie concrete, brutali e gentili
  • L'incanto della zooantropoplogia
  • Cose di cui questo libro non parla
  • I cinque assaggi

  • CINQUE ASSAGGI
  • L'incipit del libro. BUIO. SILENZIO. PESO
  • Tu sei tutti e tu sei tu. LA CORSA NEL VENTO
  • I sentimenti. LA CUCCIOLATA
  • Mistero e pericolo. I PELUCHE MEZZOVIVI
  • Tu sei ovunque e tu sei qui. I GIGANTI DELLA PIOGGIA




  • In un luogo potente, punto d'incrocio di antichi confini – fra umani e animali, fra vita e morte, fra tempo e eternità – si snoda una storia quasi a contrasto lieve e rapida, poetica e scanzonata.

    Un romanzo per i ragazzi dai nove/dieci anni in su, e per i grandi che amano gli animali, i pensieri che guardano oltre, e i libri.






    PRESENTAZIONI

    Dai testi di copertina Gli umani che guardano negli occhi gli animali lo sospettano già.
    E se in fondo non ci fosse da cercare così lontano?
    E se gli Eterni fossero proprio i loro cani,
    i loro gatti, le loro tartarughe?


    Ginger, una splendida gatta Maine coon, si è appena risvegliata in un fiorito cimiterino per animali. Anche lei adesso è un Àniman, uno spirito che fa parte dell'anima del mondo, invisibile agli occhi umani. E la vita coi suoi nuovi amici Àniman – il pastore maremmano Orson, il cane poliziotto Ted, la dolce porcellina d'India Trilly, la sacra tartaruga Mama Kurma e decine d'altri – trascorre felice, fra tuffi nella pioggia per diventare immense nuvole animali, corse nel vento in cui si scambiano la pelle, canti notturni con le rane del canale, e visite di un'umana un po' speciale, la loro amata Nonnina. Ma oscure minacce incombono: le misteriose sparizioni dei fratelli, le lugubri ricerche dell'ambiguo Custode, alcuni strani peluche dei bambini in visita, che hanno sguardi quasi vivi, inquietanti…

    Ora entra nel Giardino, ma ricorda: oltre il cancello "TU SEI TUTTI E TU SEI TU"

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    Lettera ai librai. Come trasformare in plus un minus?

    Mariagrazia Mazzitelli, direttrice di Salani, i primi di ottobre del 2016 mi chiese una lettera di presentazione del romanzo, che avrebbe accompagnato la spedizione di una copia speciale destinata ai librai. Mi sono cimentato nel compito del copyrighter pubblicitario "pro domo sua": con un po' di rossore, confesso, ma ero in dovere di farlo. I manuali di comunicazione pubblicitaria definiscono "plus" i caratteri positivi e attrattivi del prodotto, che vanno esaltati, se non creati dalla stessa pubblicità; e "minus" quelli negativi e respingenti, che vanno taciuti e cancellati, o se non è possibile, presentati come vantaggi e qualità. Bene, io mi sentivo responsabile di aver dato ai librai un arduo compito: come fare a indorare ai lettori la pillola di un libro che, comunque lo si giri, parla di animali morti? Come volgere in plus questo minus?
    Io ci ho provato. Il risultato è questo. Non ho notizia dei suoi esiti.

    Cari librai


    Prima di tutto un grazie: per la cura che avete usato finora ai miei libri. Per esempio ai miei Salani di poesia, dal vecchio e arzillo "Mal di pancia calabrone" al giovane e ardito "Rime di rabbia": da queste rime che girano l'Italia, passando per le vostre mani, gratitudine.
    Ora arriva un nuovo libro, un romanzo. Spero che lo accoglierete con la stessa cura. Che lo presenterete ai vostri clienti lettori... come? Se io fossi un libraio, e dovessi consigliare un libro che, comunque lo si giri, parla di animali morti, cosa direi per attenuare l'impatto di questa brusca etichetta? Forse direi così.

    UN LIBRO SORPRENDENTE
    "Rime di rabbia" è un libro sorprendente: nessuno si aspettava quelle cose dalla poesia. Ora l'autore ripercorre quella strada, ma in un romanzo: parla di cose diverse dalle solite, cose che riguardano tutti ma nessuno si aspetta.

    UN GIALLO CHE PARLA DI ANIMALI E ETERNITÀ
    Eternità? E cosa c'entra con un giallo? E con gli animali? E coi ragazzi? Appunto: cosa c'entrava la poesia con la rabbia?

    UN CIMITERO DEGLI ANIMALI
    Ne esistono già tantissimi in tutta Italia: basta fare solo un giro sul web. Sono mondi, segreti e silenziosi, ma diffusi dappertutto. E nessuno ne parla. Appunto...

    SENTIMENTI CHE NESSUNO RACCONTA
    Le persone che hanno e amano cani e gatti sono sempre di più, lo sanno tutti. Ma quando questi compagni di vita muoiono accadono cose di cui nessuna parla, atti nascosti e sentimenti muti, che non hanno una loro narrazione. Appunto...

    IL MISTERO
    Per questo carico sentimentale ci voleva un veicolo robusto: un bel giallo. Nella vita serena e sognante degli Àniman, gli Eterni del Giardino dei Musi, irrompono misteri. Alcuni di loro scompaiono. Appaiono strani peluche dallo sguardo terrificante, troppo vivo...

    L'ALLEGRIA
    Le buone ricette consigliano contrasti: sale e zucchero insieme. Per disegnare questo Pet Afterlife, l'Oltretomba Animale, era bene usare toni di umorismo, gioia, ironia. Orson, per esempio, il pastore abruzzese eroico, affettuoso e buffone, conquisterà i cuori di tutti.

    LA FILOSOFIA
    Se si scrivono saggi e trattati, e hanno successo, di filosofia per bambini, perché allora non anche romanzi? Chi l'ha detto che bambini e ragazzi sono lontani dalle riflessioni sul tempo, sul dopo, sul sempre? Non è meglio raccontarle a loro come "superpoteri"?

    Sono tanti ancora gli spunti che restano fuori da questo rapido elenco: la poesia, la lingua, la visionarietà; la "zooantropologia", che ho studiato per raccontare questa storia: la scienza che indaga l'antica alleanza, la coevoluzione reciproca di uomini e animali.
    Ma a questo punto dopo tanto imbonimento il cliente lettore se ne sarà già andato dalla libreria, come forse anche voi da questa pagina. Ed è per questo che non faccio il libraio, e benedico che lo facciate voi. Vi lascio lavorare, e vi ringrazio.

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    Umani e animali fratelli nell'Alba del Tempo



    Dal capitolo 5 del libro. «Perché umani et animali sono equali nell'Alba del Tempo» disse solenne la tartaruga.
    I tre Ániman tacquero. Ormai sapevano quando stava per arrivare un insegnamento, una storia dei tempi remoti, qualcosa che era bene ascoltare. La Mama rettile li guardò uno a uno, poi si volse, lo sguardo perso in fondo a quell'Alba di cui parlava.
    «Umani et animali» infine riprese, «Antica Sorellanza della Vita, essi sono, nell'Alba del Tempo. Fratelli e sorelle essi sono, et anche sposi fra loro, in antico più antico».

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    LA VIGILIA DI UN'OPERA
    PREMESSA: NON SI PARLA DELLA STORIA

    Con Gabriele Vacis, a Montalcino nel 1989, in quella strabiliante esperienza di drammaturgia che fu per me il seminario residenziale "Dura Madre Mediterranea", ci chiedevamo, parafrasando Christa Wolf: "tutti sanno quando incomincia un'opera: ma quando incomincia la vigilia di un'opera?"
    Le intenzioni, le idee, le speranze del narratore, sua vigilia dell'opera, e l'opera, la concreta storia che narra, sono reami di cose distinte, come le ombre sul muro della caverna e i corpi che sfilano fuori e le proiettano. All'autore le sue idee e intenzioni possono sinceramente apparire come motore e ruote della storia; mentre sono solamente, a sua insaputa, appena il motorino d'avviamento, che deve staccare in fretta, a scanso di danni, quando il motore maggiore entra in funzione e spinge. Se entra in funzione e se spinge. E se lo fa, l'unico passo che vale da lì in avanti è il cosiddetto "girapagina": quella virtù dei libri che comanda all'occhio di leggere ancora la riga sotto e alla mano di sfogliare ancora la pagina dopo.
    Di questo motore maggiore, il girapagina de IL GIARDINO DEI MUSI ETERNI, se c'è e se gira, non parlerò, non ho niente da dire, lascio parlare lui se ne è capace (può già provarci nei cinque assaggi del libro qui sotto). Accompagnerò soltanto chi vorrà seguirmi in un giretto nelle adiacenze della storia, un periplo guardingo, un racconto di quel cammino di pensieri e ricerche e scoperte che è stato la vigilia di quest'opera.

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    CI SON PIÙ COSE IN UN GUSCIO DI NOCE...

    "Un romanzo giallo per ragazzi che parla di animali e eternità". Così io stesso ho suggerito all'editore di definire questo libro. E cosa c'entra l'eternità con un giallo? E con gli animali? E soprattutto coi ragazzi? Non so se e cosa c'entrino queste cose una con l'altra, e tutte coi lettori ragazzi. Ma so che fin troppi libri "c'entrano" con loro: li centrano come target, bersagli da colpire al centro dei loro interessi, reali o presunti.
    E forse è giusto, o perlomeno comprensibile, che moltissime storie oggi parlino a bambini e ragazzi di bullismo, gender, legalità, cittadinanza, migranti, Europa e olocausto. Oppure di baci e amori e scoperta del sesso e conflitti coi genitori e col gruppo. Ma c'è dell'altro, naturalmente e per fortuna. "Ci sono più cose in un guscio di noce", direbbe Shakespeare, che in tutta la narrativa mainstream per ragazzi.

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    SENTIMENTI SOLITARI E INDICIBILI

    Ci sono tante cose che riguardano tanti, e di cui non racconta nessuno. Per esempio: la morte degli animali amici della nostra vita, la rottura tagliente dei legami d'affetto e d'amore che sempre più a fondo stringiamo con loro. E il dolore e il lutto che ne nascono, che non hanno nome, riti, modi usuali di scambio, di condivisione. Sono dolori solitari e indicibili. Perché?
    Perché urtano contro tabù profondamente annidati nella nostra cultura e morale: ma non nella vita, e non nelle storie che ne sono specchio. Accade abitualmente, per fortuna, che all'interno di una stessa cultura leggi e consuetudini prescrivano di giorno regole di condotta che la vita e le storie contraddicono di notte.

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    TASSONOMIA DEGLI AMORI CONFORMI

    Per esempio: leggi e consuetudini indicano come lecito e gradito alla comunità l'amore fra due individui di sesso diverso, della stessa razza, della stessa fascia sociale, di età equilibrate, etc.? Ed ecco subito le storie che domandano: e se uno è un Montecchi e l'altra una Capuleti?
    Da qui si può andare avanti, variando ciascun termine di questa tassonomia degli amori conformi. Può esserci amore fra individui di diverso sesso, della stessa razza, di età equilibrate ma di diverso censo, diverso rango sociale? Le storie che lo affermano sono probabilmente le più numerose della nostra cultura occidentale. Diversa razza? "Indovina chi viene a cena". E giù fino al tema scottante di questi mesi, il famigerato "gender": amore fra individui dello stesso sesso? Può esserci? è amore?

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    E FRA INDIVIDUI DI DIVERSA SPECIE?

    Ancora più giù: fra individui di diversa specie? Peggio ancora: di diverso regno biologico? Può esserci amore fra umani e macchine? Sì, dicono Ridley Scott e Philip Dick: Blade Runner può amare la bella replicante Rachel. E sì, dicono Collodi e Spielberg: un genitore può amare un figlio manufatto, burattino vivente o IA.
    Tornando su di un gradino, al regno animale ma cambiando specie: è lecito a un individuo della specie umana amare un animale d'altra specie? è lecito, quindi, piangerne le morte?
    Qual è la narrazione che testimonia la legittimità di questo lutto accanto agli altri? Se il lutto risveglia il bisogno di uno sfondo immaginario in cui proiettarsi, quale storia, o famiglia di storie, offre lo sfondo necessario a immaginare il caro perduto in un luogo e in una trama d'eventi, lo incastona in una visione in cui possiamo pensarlo con conforto?

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    I CIMITERI VIRTUALI DEGLI ANIMALI

    I primi Cimiteri degli Animali che ho conosciuto, forse nel 2005, erano cimiteri virtuali. Li scoprii per caso in quello che allora si chiamava ancora world wide web. Erano siti web in cui si offriva agli affranti padroni di cani e gatti morti un luogo simbolico in cui immaginare e commemorare il proprio amico: un cenotafio. Il sito metteva a disposizione una scelta di sfondi-ambientazione: immagini fotografiche a tutto schermo di prati, radure, boschi, valli con fiumi, paesaggi rocciosi, spiagge, addirittura un paesaggio lunare; offriva un piccolo campionario di lapidi, tombe, piccoli monumenti funebri da inserire in questi ambienti; si poteva caricare una foto, si poteva digitare un testo, che poi il programma di gestione del sito assemblava con la foto sulla lapide.
    Così si componevano le sepolture grafiche virtuali. Che talvolta (non nell'esempio riprodotto qui sopra) erano individuali e isolatissime, perché l'inesauribile disponibilità degli spazi, finché sono fatti di bit e non di atomi, consentiva che un'unica lapide si ergesse solitaria in un'intera vallata, radura, spiaggia. Un indice ipertestuale, come si diceva allora, a volte sotto forma di pianta topografica (o nell'esempio qui sopra di piccole tombe da cliccare), consentiva di rintracciare il proprio caro, e un clic sul nome portava alla sua schermata: il suo posto, la dimora di riposo.

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    DALL'IMMAGINAZIONE ALLA VISIONE

    Leggere quelle frasi, gli epitaffi su quelle lapidi solitarie stagliate (a volte proprio incollate un po' rudemente) in posti vasti e ventosi e belli, allora mi colpì e commosse. Mi apriva un varco in un dolore altrui, uno scorcio in cui intuire in fuga lunghi decenni di affetto, giornate, ore, voci, giochi, stanze, letti, passeggiate, cure, abitudini: intere vite che non sono la mia. L'ondata di affetti e ricordi di quelle persone era possente, nessuna meraviglia che chiedesse con forza un luogo in cui continuare a espandersi: e che questo luogo dovesse essere il più bello possibile.
    Con commozione immaginavo i pensieri, i sentimenti, le motivazioni di chi aveva scelto una riviera di fiume anziché un prato fiorito, un declivio montano piuttosto che una spiaggia, per immaginare il proprio cane che corre a perdifiato per quel luogo, o che guarda il tramonto fermo e assorto. Immaginavo che pensasse: qui starà bene. Immaginavo la sua immaginazione. Il web offriva le immagini necessarie all'immaginazione di entrambi: la sua del suo cane, e la mia di lui.
    Così, dall'immaginazione, nasceva la visione. La visione di quel luogo scenografico, di quel teatro d'amore creaturale, forse ancora più basso e primordiale nell'anima dell'amore fra umani. La visione di un luogo che dopo molti anni avrei chiamato IL GIARDINO DEI MUSI ETERNI.

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    I CIMITERI REALI DEGLI ANIMALI

    Non so se esistano ancora questi Cimiteri Virtuali per Animali. Ora esistono, in tutta Italia, i Cimiteri Reali. Ne lasciamo descrivere la nascita a un passaggio del romanzo. Capitolo 2, la gatta Ginger è appena arrivata, il basset hound Ragioniere, cagnotto esperto di cose umane, ha il compito di spiegarle in che posto si trovi. "Comunque aveva capito il concetto: gli animali d'appartamento nelle città erano sempre più numerosi, e gli umani erano sempre più legati a loro. Ragioniere andò avanti. Quando questi animali morivano, fino a poco prima, i loro umani li seppellivano nei giardini, o fuori in campagna. Ma oramai gli animali erano troppi, i giardini pochi, non potevano farcire le aiuole di corpi morti; e tante vecchiette sole non potevano certo andarsene in campagna, sui bus extraurbani con la pala e la cagnetta morta in braccio.
    «E allora che cosa fanno di... di noi?» chiese Ginger al severo basset hound.
    «Te lo stavo pur dicendo, gatta, ma mi hai interrotto!»
    «Va bene, dimmelo, ma con parole tue, senza tutto quel miagolio di leggi».
    Ragioniere con parole sue, che fuori dalle scartoffie si facevano un po' incerte e farfuglianti, cominciò a dire che gli umani il più delle volte affidavano i loro animali morti ai veterinari. E questi li consegnavano ai servizi di smaltimento rifiuti speciali.
    «Uff, ancora quel linguaggio! Vale a dire?»
    «Vale a dire camion carichi di carcasse, scarti di macelleria e cose simili, che vengono convogliati negli impianti...»
    Pian piano Ragioniere cambiava voce, gonfiava il petto, rizzava il collo: dalle incerte e smozzicate parole sue stava tornando a quelle chiare e salde delle leggi.
    «... negli impianti autorizzati al trattamento previsto dal Regolamento CE uno sette sette quattro duemiladue. I cui sottoprodotti di detrito sono inviati alla distruzione presso...»
    «FFFFFFFFF!»
    Il basset hound, allarmato dagli occhi della gatta, chiuse la frase precipitosamente.
    «... presso cementifici, centrali elettriche e simili, che li utilizzano come combustibile».
    «Ma è orribile!»
    Appunto, concluse il cane: proprio per questo gli umani, per risparmiare ai loro amici quel destino, perché volevano che riposassero in un bel posto, dove potessero ogni tanto andarli a trovare, avevano cominciato a costruire, poco fuori delle città, i Cimiteri degli Animali."
    E lei era stata sepolta in uno di quelli.
    «Il Giardino dei Musi Eterni» concluse Ginger, guardandosi intorno con un sospiro.
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    LA SORGENTE DELLA STORIA DIECI ANNI PRIMA

    Nell'aprile del 2006 Fabrizio Donvito, al fianco del quale avevo progettato il mio adventure game "Nirvana X-rom" (ora è a capo della Indiana Production), mi chiese un soggetto per una serie di cartoon da proporre a non so più quale rete televisiva.
    Alla fine del mese gliene consegnai due, con relative ambientazioni e cast di personaggi. Uno era intitolato IPERGNOMIA, e narrava di una popolazione di minuscoli gnomi che abitavano le controsoffitature degli ipermercati. E l'altro aveva titolo IL CIMITERO DEGLI ANIMALI, e descriveva ambiente e personaggi, animali e umani, protagonisti e antagonisti, nemici e amici, e insomma se non la vicenda esatta l'esatta ambientazione e alcune tipologie di personaggi di quello che dieci anni dopo sarebbe diventato IL GIARDINO DEI MUSI ETERNI.
    La serie non si fece. Il progetto fu riposto in sonno nella sua cartelletta, in attesa della sua giusta stagione di fioritura. Tanto ormai lo sapevo, era già accaduto ai due precedenti romanzi Salani, LILIM DEL TRAMONTO e LUNAMOONDA: progettati, in diverso grado di dettaglio scalettati con trattamento e sinossi, corredati di ricerche (per "Lilim del tramonto" assai vaste), poi lasciati lì a lievitare per dieci anni. Dopo dieci anni ripresi in mano, sviluppati e trasformati in libri.

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    INVENTIO, DISPOSITIO, ELOCUTIO...

    Ma dopo il cammino di vigilia e prima del libro c'è ancora un'altra gestazione: la ricerca. L'antica retorica ordina e nomina i passi della composizione (delle arringhe dei retori, in origine, ma poi per esteso di ogni componimento letterario): Inventio, ricerca e accumulo di materiali; Dispositio, strutturazione ordinata di questi materiali secondo un disegno; Elocutio, stesura fluente del discorso, che attinge dai materli dell'Inventio ordinati nella Dispositio. Una vera macchinetta deliziosa.
    Dopo l'idea, il concept, o più romanticamente l'ispirazione (una storia ambienteta in un cimitero degli animali), sono passatto quindi all'operosa Inventio, accumulando materiali e informazioni sulla morte degli animali e sulle forme di gestione di questo evento da parte degli umani loro compagni: gestione pratica (smaltimento, cremazione, sepoltura) e affettiva (lutto, rituali, sentimenti). Ecco di seguito una breve panoramica, per esempi scelti e in ordine casuale, dei risultati di questa Inventio/Ricerca.


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    LA RICERCA





    IMMAGINI PER IMMAGINAZIONI

    Ho cominciato coi cimiteri degli animali, con le loro immagini. L'immaginazione si nutre d'immagini, avevo bisogno di vedere concretamente gli scenari, la luce, le architetture, il giardinaggio, l'esposizione, l'atmosfera. Ho esplorato decine di siti web di cimiteri degli animali, e alcuni li ho visitati in real life (come questo sulla Maiella, non ricordo dove), raccogliendo immagini e immagini.
    Per esempio:
  • Il riposo di Snoopy, Grizzana Morandi, Bologna
  • La Valle degli affetti, Manoppello, Pescara
  • Il Giardino di Artemide, Catona, Reggio Calabria
  • Angeli a quattro zampe, I Casetti, Bologna
  • Bao Miao Village, Cogliate, Milano
  • Il giardino degli animali, Rocca d'Arazzo, Asti
  • Cimitero per animali, Frassino, Cuneo
  • I due trulli, Acquaviva delle fonti, Bari
  • Parco dei Ricordi, SS 16 Km 682, Foggia
  • La cuccia, Sassari

  • E via, ancora immagini e immagini, da guardare e dimenticare: e poi scrivere.

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    NOTIZIE CONCRETE, BRUTALI E GENTILI

    Ma cosa accade agli animali quando muoiono, nelle nostre città? Mi sono documentato, ed ecco alcuni stralci dal mio Quaderno dell'Euresis/Inventio:

    Da un blog di informazione, ora scomparso. "La legge prevede lo 'smaltimento' come rifiuto speciale, che tradotto in una realtà forse un po' cruda ma pur sempre vera significa che un camion pieno di carcasse di animali, scarti di macelleria e altre schifezze di ogni genere, passerà a ritirare il sacco del 'rifiuto' per conferirlo in mucchio unico ad apposito inceneritore. Da qualche anno alcuni impianti moderni si sono attrezzati per gli incenerimenti singoli ma pur sempre nei luoghi e con i modi con cui ci si disfa degli scarti dei macelli". Ho letto le normative diramate dagli enti pubblici sul "sotterramento delle carcasse degli animali", che non può (non potrebbe) essere attuato da chiunque e dovunque e comunque. Eccone pochi stralci. La possibilità di ricorrere al sotterramento in loco delle carcasse degli animali morti è condizionata alla pianificazione del rischio veterinario individuato di comune accordo tra sindaco e Area Dipartimentale di Sanità Pubblica veterinaria della AUSL (...). Nell'individuazione delle aree idonee al sotterramento bisognerà svolgere studi geologici propedeutici, prestando particolare attenzione alla prevenzione dei rischi di inquinamento ambientale e ai fenomeni erosivi e franosi (...). Gli elementi da considerare prioritariamente nella scelta di un sito idoneo allo scopo sono: la profondità e vulnerabilità della falda freatica; la distanza da pozzi, sorgenti e punti di presa delle acque per uso potabile; la possibilità di scavare facilmente ad una profondità di 2-4 metri dal piano campagna; la permeabilità dei suoli; la pendenza del sito..." Ho letto e conservato documenti di pratiche più gentili, improntate alla pietas dovuta alla lunga e profonda relazione affettiva col proprio animale. L'alternativa principale e quasi unica alla consegna al veterinario, cui seguirà il camion delle carcasse di cui sopra, sono senza dubbio i cimiteri degli animali, ormai presenti in tutto il territorio nazionale. La mia diligenza documentaria non è giunta a verificare i costi delle concessioni, quinquennali e rinnovabili etc., che i gestori di questi cimiteri, in gran parte privati, applicano ai loro clienti. Ma saranno di gran lunga meno cari dell'altra scelta, i diamanti dalle ceneri: trasformare gli amabili resti del proprio animale in un diamante da portare indosso.

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    L'INCANTO DELLA ZOOANTROPOLOGIA

    Oltre l'aspetto pratico e normativo del rapporto col proprio animale e con la sua morte, mi interessava, e più profondamente, uno sguardo psicologico, o meglio storico, e meglio ancora antropologico su questo territorio. E ho trovato ciò che cercavo.
    Fatale è stato l'incontro con un libro: Roberto Marchesini, LA FABBRICA DELLE CHIMERE. Biotecnologie applicate agli animali, Bollati Boringhieri 2005. L'avevo studiato e annotato con passione, a dire il vero per la Inventio di un altro romanzo, il precedente Salani LUNAMOONDA. Ma la potentissima visione della "zooantropologia", per me sorprendente e inaudita, ha proiettato la sua luce anche su questo successivo.
    Ecco, trascritte letteralmente dal mio Quaderno dell'Euresis/Inventio, alcune annotazioni di lettura che son state in molti modi determinanti nella scrittura del GIARDINO DEI MUSI ETERNI.
    L'INQUIETUDINE DELL'UOMO CHE SI GUARDA NELLO SPECCHIO ANIMALE
    Il confronto con l'alterità animale, da un lato col mistero del viso mentale inafferrabile che si cela dietro quegli occhi non umani, e dall'altro con l'esplicita superiorità delle performance sensoriali e operative degli animali, è stato per l'uomo dall'inizio fonte di scontentezza, languore, "longing" di inadeguatezza e incompletezza, e in sostanza primo motore del cammino della conoscenza.


    COMPAGNO DI MISTERI: È MEGLIO DI TE, QUINDI IMPARA DA LUI
    Confrontarsi con lo specchio non umano significa spesso subire uno scacco: l'animale è stato più furbo, più agile, più sensibile e sensitivo, più competente di noi. Imparare a digerire la sconfitta, trasformandola positivamente attraverso l'esercizio socratico, ricorda quel concetto di fallibilità che per Voltaire ` alla base di ogni conoscenza. Segue, come da copione, l'osservazione animale per la traslazione di soluzioni vincenti. L'animale come modello consente di migliorare o estendere le proprie prestazioni: spesso è sufficiente imitarne l'arte e la tecnica. (pag. 11)


    COMPAGNO DI MISTERI: FRA IDENTIFICAZIONE E ALIENAZIONE
    Dietro gli occhi dell'animale si nasconde un viso mentale inafferrabile, un labirinto di possibilità che talvolta inducono processi identificativi o proiezioni antropomorfiche (culturali ma anche psicologiche e affettive: "sei una bestiolina" – nota mia), altre volte danno vita a incognite animali che spaventano (culturali ma anche psicologiche e affettive: &qauot;sei una bestia" – nota mia).


    COMPAGNO DI MISTERI: OGNI MISTERO HA VOLTO ANIMALE
    Ogni volta che ci riferiamo a creature non umane (angeli, alieni, demoni, mostri – pag. 9), o con sguardo più vasto a ogni regione dell'inconoscibile (la divinità, la morte, l'origine dell'uomo), vediamo e diamo forme teriomorfe. L'animale è l'archetipologia dell'incomprensibile, dell'irriducibile a noi. (pag. 11-12)


    COMPAGNO DI MISTERI: È MEGLIO DI TE, QUINDI FONDITI CON LUI
    La zoomimesi nella pratica sciamanica (travestirsi da animale, dipingere la pelle con segni animali, mutuare posture e movimenti da altre specie) diventa processo estatico, congiunzione e accoglimento dell'animale nel proprio corpo, e allo stesso tempo tramite per l'accesso ai misteri dell'universo. Un legame che si perde nella notte dei tempi, nelle caverne del musteriano dove un cugino neandertaliano ha tracciato con grande maestria il cammino dell'estetica e dell'epistemologia zoomorfa. (pag. 11-12)


    AMORE INNATO: NON SOLO PROIETTIVO
    Secondo Jean Pierre Digard il rapporto con l'animale corrisponde a una specifica vocazione dell'uomo, una sorta di "appetenza innata", cosicché il processo di domesticazione può essere definito come "antropologia di una passione". Pertanto, se in certi casi l'animale assume un ruolo sostitutivo (pets, nota mia), questo non inficia lo specifico bisogno che l'uomo manifesterebbe verso il partner non umano. (pag.16-17)

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    Torniamo sempre lì: "there are more things", ci sono più cose...
    La vecchietta che arranca sui nostri marciapiedi e il suo botolo grasso e cagone lanciano ombre senza tempo e senza nome: le remotissime alleanze primigenie, da ere innumerabili cadute nell'oblio ma mai del tutto perdute, che ci hanno fatto e continuano a farci, accanto ai fratelli animali, gli umani che siamo.








    COSE DI CUI QUESTO LIBRO NON PARLA

    Questo libro avrebbe in sé gravi lacune, se si ponesse il compito d'un saggio, d'una esplorazione sistemica della realtà: ma non si pone questo compito, perché è una storia.
    Quindi non è lacuna né omissione che il libro scavalchi agilmente il dilemma millenario se gli animali abbiano o meno un'anima che possa sopravvivere alla morte. A parte il fatto che la domanda si pone identica per gli umani, qui mi accontenterò di citare, ma più per sorriso che per sostegno, nientemeno che Papa Francesco, che dice soave: "Andremo in Paradiso come gli animali". Altri ovviamente sostengono il contrario. Quanto e me, non sostengo: racconto.

    Ma venendo a lacune più serie: può un libro che narra del rapporto fra umani e animali ignorare del tutto la massa immensamente preponderante degli animali che oggi vivono e muoiono per noi? Per nutrirci? Certo che può, se è una storia e non un saggio. E tuttavia, pur convintissimo di questo, un'inquietudine tenace mi adombrava nello stendere il filo del racconto. Non era tanto codarda paura di eventuali contestazioni animaliste: era proprio una nota stonata, una nota mancante, che faceva tremolare ai miei orecchi l'armonia del racconto. No, non potevo fare a meno di lanciare almeno uno sguardo a tutti quegli altri animali, il cui numero è legione, che non hanno avuto in sorte di viveve in casa dell'uomo, e guadagnare così un posto nel Giardino. Curiosità incontentabile e intransigente che ha specchio esatto nella mia protagonista, la gatta Ginger, che infatti nel capitolo 5 finisce fatalmente per chiederne conto al suo paziente amico e mentore Orson. Ecco cosa il cagnone le risponde. Un'ombra di stanchezza passò negli occhi del cane: a volte era proprio una fatica, coi nuovi arrivati.
    «Il Selvaggio Eterno? Be', è come se fosse... il Giardino degli Àniman selvatici. Noi siamo stati animali domestici, no? Abbiamo vissuto accanto all'uomo per infinite generazioni: nella casa, nella stalla, nel cortile. Siamo cresciuti e cambiati con lui, e grazie a lui. Ma anche lui è cambiato con noi e grazie a noi. E dopo la morte, da Àniman, noi stiamo qui, in un giardino che lui ci ha preparato. Gli altri animali, i nostri fratelli che invece hanno abitato boschi, mari, cieli, ghiacci, deserti... gli animali selvatici, come li chiama lui: ecco, quelli da Àniman vanno a stare nel Selvaggio Eterno».
    «Ho capito. E gli altri? Quelli che l'uomo alleva per mangiarli?»
    «Anche loro nel Selvaggio Eterno. Sono accolti dai selvatici come loro fratelli. Almeno sgambano un po', dopo una vita breve e chiusa in gabbia».
    «Bravi i selvatici, mi sembra una buona cosa».
    «I selvatici sono delle gran brave persone».
    «E dov'è questo posto? Il Selvaggio Eterno?»
    «È fuori di qui, da tutte le parti, lontano».
    «E anche noi ci possiamo andare?»
    «Certo, e infatti ci andiamo. Vedrai che galoppate nel Selvaggio. E vedrai cose che ti stupiranno. Non c'è più tanta differenza fra noi e loro, sai? Non da Àniman: non te l'ha detto Mama Kurma?»
    «Sì, lo so: tu sei tutti e tu sei tu».
    «Appunto. Noi siamo loro e loro sono noi, tutti possiamo andare e tornare nei regni dell'uno dell'altro. Andare e tornare: ma per stare, ciascuno preferisce casa sua».
    «E perché?»
    «Mah! Forse per la stessa ragione per cui tu non sei mai saltata giù dal tuo divano per andare a morire di fame in qualche bosco».

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    I CINQUE ASSAGGI

    Direi che basta. Forse solo per il romanzo LUNAMOONDA ho fornito un apparato così vasto di informazioni sulla vigilia, le adiacenze, il circondario di un libro: ma in quel caso si trattava soprattutto di immagini, le foto che io stesso avevo scattato nei miei sopralluoghi sul posto che quella storia doveva raccontare, il promontorio della Sella del Diavolo di Cagliari. Qui, per IL GIARDINO DEI MUSI ETERNI, la pagina di presentazione del libro è invece fitta soprattuto di testi: che pure son solo una piccola parte delle idee, intenzioni, conoscenze e ricerche di un narratore intorno alla storia che ha in lavorazione sul banco.
    Ma poiché, come ho scritto all'inizio, queste idee e intenzioni e ricerche sulla storia non c'entrano con la storia più che le ombre sulla parete della caverna coi corpi che le proiettano, ecco finalmente, dopo il lungo resoconto sulle ombre, cinque concreti assaggi dei corpi.

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    CINQUE ASSAGGI


    L'incipit del libro
    BUIO. SILENZIO. PESO.

    Cap. 1, pag. 7






    Buio.
    Silenzio.
    Peso.
    ‘Peso'?
    Ginger si stava svegliando, ed era perplessa: buio e silenzio va bene, ma... peso?
    Nelle sue sette vite di gatta il buio e il silenzio erano sempre stati amici fidati. Ma quella sensazione di peso, di pressione su tutto il corpo, quella da dove veniva?
    ‘Cosa mi avranno messo addosso' pensò, ‘quei cari pazzi dei miei umani? Una coperta? Quel maglioncione vecchio che sembra un tappeto? Bene, qualunque cosa sia, ora me lo tolgo di dosso, me ne esco da qui!'
    Provò a contrarre i muscoli, inarcare la schiena, allungare le zampe.
    Stava meglio! Decisamente! Chi l'avrebbe mai detto? La notte prima era messa proprio male: dolori ovunque, debolezza infinita, il respiro col raschio, la pancia come una pietra, insomma forse era proprio... come diceva la nonna di Davide?
    ‘In fin di vita'?
    E invece senti qua: leggera, scattante, gagliarda, insomma... bene. Anzi, proprio benissimo! Era guarita da quella cosa brutta che dicevano in casa? Vediamo subito.
    Rampò con le zampe davanti, spinse con quelle di dietro, spiccò il salto e...
    Fu fuori.
    Nella bell'aria profumata di una mattina radiosa di aprile, in pieno sole.
    Sì, va bene, però... dove? Dov'era finita? E chi erano quei tre?
    Un cagnone bianco e lanoso dall'aria bonaria, una vecchissima tartaruga col guscio crepato, e uno stupido canarino giallo arancio la guardavano, con occhi preoccupati.
    «Benvenuta, gatta Ginger!» disse il cane, con un sorriso e una voce calda come un maglione.
    «Ci!» aggiunse l'inutile uccello. La tartaruga silenzio.
    Ginger, in perfetto stile gatto, volse la testa, come chi ha perso interesse alla conversazione dopo la prima frase.
    Studiò il posto: pareva un giardino. Anzi, un parco.
    Parco: così lo chiamavano i suoi umani, quando era cucciola e la babysitter di Davide la portava con lui in un cestinetto nel passeggino. Anche in seguito ci avevano provato, con un ignobile guinzaglietto al collo perché non fuggisse.
    E lei aveva manifestato la sua indignazione in modo tanto chiaro che non avevano ripetuto l'esperienza.
    Un parco, dunque, con la sua bella erbetta fresca... anzi, poi magari avrebbe visto se c'era dell'erba gatta da masticare; coi suoi fiori, i vialetti, le aiuole, gli alberi eccetera.
    E cani e gatti che passeggiavano qua e là.
    Però... quanti! Che ci facevano lì in tanti, e tutti soli? Dove erano i loro umani?
    E poi, laggiù? Topi? Topini bianchi, si direbbe, sì. Che se ne andavano in giro spavaldi senza paura. Da non crederci! E quegli altri cos'erano? Criceti. E poi uccellini, canarini, pappagallini, che svolazzavano cinguettando come scemi, o posati sui rami. Bene, topini e uccellini incauti: peggio per loro. Anche su quelli, come sull'erba gatta, più tardi avrebbe fatto un pensierino. Ogni cosa a suo tempo, prima capire.
    Erba, fiori, vialetti, animali. E quelle pietre?
    Girò la testa dall'altra parte, sempre ignorando maestosamente i tre tipi davanti a lei, che la guardavano. Anche dall'altra parte quelle pietre, in fila, a perdita d'occhio. Di forma diversa, squadrate, stondate, frastagliate, ficcate in terra in piedi, come spalliere di sedie ma senza sedie, e ognuna con su scritto qualche cosa.
    Si leccò perplessa i baffi: che strano sapore di niente...
    Decise che ormai aveva mostrato abbastanza a quei tre la sua regale indifferenza, poteva guardarli di nuovo. Girò con calma il bel muso.
    Eccoli lì, che la fissavano muti, con occhi apprensivi. Soprattutto quella specie di canepecora.
    Però... c'era qualcosa di strano, intorno a loro. Una luminescenza, una specie di buccia luminosa, una pelliccia di luce bianca che vaporava dai loro contorni e sfocava nell'aria. Sembravano... come dire, sembravano accesi.
    Ma che diamine di bestie erano mai?
    «Come va?» chiese il cagnone, con un sorriso da zia preoccupata che non vuol darlo a vedere.
    Una gatta di razza Maine coon a pelo semilungo non risponde a un cane che le rivolge la parola la prima volta: se va bene la terza, altrimenti la quinta. Quindi Ginger tornò a volgere il bellissimo muso a destra. Anche lì spalliere di pietra.
    A sinistra: spalliere di pietra.
    Ma chi poteva mai sedersi, appoggiandosi a spalliere come quelle? Fece un sospiro da regina annoiata, come a dire: che pazzo, questo mondo!
    «Aspetta di vedere quell'altro» disse la tartaruga, con una voce remota, rauca e strana.
    Ginger si volse di scatto e la fissò. Che cosa?!? Lei non aveva detto una parola! Quel mostro le aveva letto nel pensiero?
    Fu solo un attimo, poi tornò la necessaria maestà felina, e Ginger distolse lo sguardo anche da lei. Mai mostrare sorpresa, mai stupore. Gli stupidi si stupiscono, i gatti no.
    E le gatte Maine coon meno che no.
    Dunque, diceva? Ah, sì: le spalliere di pietra, con su scritto qualcosa. Sapeva leggere, naturalmente, come tutti i gatti di casa educati e dotati, a cui i bambini avevano letto libri di fiabe. Ma quelle pietre erano troppo lontane, le scritte troppo minute, non si distingueva. Però... Spalliere alla sua destra, alla sua sinistra, davanti a lei... e quindi probabilmente...
    Ginger volse la testa: esatto. Ce n'era una proprio dietro la sua coda.
    Si levò dalla posa seduta da divinità egizia, si mise ritta sulle quattro zampe. Ma che strana sensazione, sotto i cuscinetti: niente, vuoto, come pestare erba di nuvole... Bene, anche a quello penserà dopo: vediamo qui, intanto. Fece un mezzo giro, volse regalmente ai tre la folta coda, che l'ammirassero pure, guardò la spalliera di pietra davanti al suo naso.
    C'era una foto.
    La foto di un gatto. Un grosso gatto. Che assomigliava a lei.
    Anzi: che era lei.
    E sotto una scritta in lingua umana, che diceva... vediamo...

    GINGER
    1998-2015
    Ciao Zìnzola, non ti dimenticheremo
    Davide e Viola


    Prima, un nanosecondo prima di capire, Ginger sentì i tre alle sue spalle che si muovevano veloci. Poi fu il caos.
    «MAAAAAAOOOOOOOO!»
    Le zampe si irrigidirono come stecche, la schiena si inarcò, il corpo prese a tremare in ogni fibra. La bocca si spalancò e i bianchi denti a spillo scintillarono. Gli occhi si dilatarono, enormi, da fare paura. E tutti i peli della pelliccia semilunga si rizzarono come sottili spade, lanciando raggetti di luce d'argento nell'aria.
    «Modalità Primo Soccorso!» abbaiò il cagnone, con voce non più di zia ma di colonnello.
    Ginger si sentì avvolgere da tutte le parti da una nuvola calda e lanosa, che la abbracciò, la strinse, la sostenne. Il cagnone s'era acciambellato intorno a lei, come una grande conchiglia d'amore, e con la morbida coda da una parte e il muso dall'altra le accarezzava i fianchi tremanti. ‘Un cane?' pensò Ginger in uno sprazzo di coscienza. ‘Che sa fare questo?'... Il canarino aveva preso a svolazzare sulla sua testa, facendole aria con le piccole ali: un'aria strana, dissetante e un po' inebriante. E trillava, con un canto acuto ma largo, di spilli e nuvole, leggero, immenso, che non era di un solo uccello ma di molti.
    La tartaruga, invece, si era piazzata di fronte a lei, aveva allungato il brutto collo rugoso, aperto il brutto becco petroso, e con una voce rauca che pareva venire dritta dai millenni aveva iniziato a parlarle, dicendo più o meno così:
    «Sì, gatta Ginger, mortua tu sei. Ora me asculta, felina. In terrore di pietra ora tu sei, ma io so che udire me puoi, e dunque asculta. Devi sapere che la morte è nella vita, sciolta dentro nella vita morte c'è. E allora anche c'è vita nella morte. Mortua tu sei, consumato tu hai le sette vite gatte tue. Ora l'ottava, se tu vuoi, comincia. Asculta me...»

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    Tu sei tutti e tu sei tu
    LA CORSA NEL VENTO

    Cap. 5, pag. 58






    Ormai Ginger padroneggiava bene il dosaggio della forza nelle zampe, i ‘passettini nel vento' necessari per arrivare rapidamente fino al canale. Ma lì, sul ciglio della ripa che declinava all'acqua, invece che frenare o discendere, i due amici di tacita intesa dettero alle zampe di dietro un impulso potente, uno scatto solo: i passettini cessarono, il vento si levò, e fu il Balzo.
    E allora corsero, ma per davvero.
    Oltre il canale, oltre i campi, oltre quel posto e verso tutti i posti.
    Le zampe di dietro scattavano a spingere indietro, quelle davanti a rampare avanti, con tutta la forza, uno e due, uno e due, senza posa. La velocità cresceva, cresceva, fino a livelli che Ginger non avrebbe mai pensato di raggiungere, e che invece presto superava per crescere e crescere ancora.
    Sentì che Orson la guardava, si volse, scorse negli occhi dell'amico un riso di sfida. Allora sorrise a sua volta e scattò avanti. E i due Àniman furono in gara, testa a testa, a una velocità di sogno che ancora aumentava, assurdamente cresceva e cresceva, finché...
    Finché Ginger si accorse di qualcosa che pareva impossibile.
    Le sue zampe non erano più sue. Non erano più di gatto, ma... di cane! Di un grande e forte pastore maremmano, che con zampate possenti e lingua al vento non correva accanto a lei, ma che... era lei! Infranto chissà che muro, superata chissà che soglia al tempo stesso di velocità e d'identità, Ginger di colpo fu Orson e Orson fu Ginger, e corsero insieme ridendo come i matti.
    Poi le zampe di entrambi si allungarono, la falcata si aprì grande e flessuosa, e furono due ghepardi che sfrecciano nella savana inseguendo due antilopi.
    Poi il loro passo divenne un salto arcuato, lunghissimo e lieve, e furono le antilopi che fuggono da quei ghepardi.
    Il salto divenne tonfo di zoccolo che pesta, e furono bisonti in mandria nella prateria.
    La prateria divenne ghiaccio abbagliante, e furono orsi bianchi che arrancano sul pack.
    Le zampe bianche si fecero minuscole, stecchite e frenetiche, e i due amici adesso erano due lucertole, che sfrecciano inseguite da un bambino nel sole di un cortile di città.
    Poi furono rinoceronti inesorabili, che schiantano arbusti e squassano la foresta.
    E poi le zampe non furono quattro ma due, e scattavano in zompi elastici di canguri.
    Di bestia in bestia, con unghie o zoccoli o zampe d'ogni forma, i due Àniman fatti di vento nel vento corsero e corsero.
    Attraversarono campi coltivati, con contadini che si rizzavano sudati e porgevano il viso al conforto del vento, senza neanche lontanamente immaginare quale soffio di anime in corsa gli accarezzasse la fronte. Attraversarono foreste primordiali, brughiere sotto cieli di tempesta, lagune paludose sconfinate. Corsero lungo i viali alberati di giardini reali, nei vicoli melmosi di villaggi dell'era del bronzo, nelle grandi autostrade della notte, dove sfrecciarono contromano, bucando come fossero di fumo i musi urlanti di camion giganteschi, che non li avrebbero mai più spalmati sull'asfalto.
    «Basta, cagnone, torniamo».
    «OK, torniamo».
    Orson e Ginger irrigidirono le zampe contro il vento, cominciando a frenare, e di lì a poco zampettavano a passettini nel viale principale del Giardino.
    Era il tramonto, tutti gli Àniman confluivano in silenzio alla riva del canale.
    «Giusto in tempo per il saluto al sole. Ciao gatta».
    «Ciao cane».

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    I sentimenti
    LA CUCCIOLATA

    Cap. 8, pag. 95






    Si accordarono per quella stessa notte, quando il pitbull sarebbe stato immerso nel sonno.
    E così fu.
    Nel cuore del buio più buio una fila di Àniman giunse muta nello spiazzo antistante alla guardiola e si dispose in largo cerchio attorno al cane Bestio che dormiva.
    Nove cani: oltre Orson, Ted e il Ragioniere il bullmastiff Barone, il dobermann Thor, il bovaro Sanson, la welsh corgi Liz e i due bastardini jolly Ugo e Cuba. Cinque gatti: con Ginger e Linneo i due soriani jolly Ciko e Loompa e la Mau egizia Astarte. Cinque uccelli: col canarino Ci la cocorita Pepa, il merlo Melody, il falco Astolfo, e il gufo vivente Saturnus, Saltafossi. Un cavallo, l'andaluso nero Ramiro. E un'intrusa: una porcellina d'india, la solita Trilly, che aveva fiutato qualcosa, pregato e assillato, e che non c'era stato verso di tenere lontana dalla missione.
    E così fu che quella notte il cane Bestio fece un sogno che non avrebbe scordato mai più.
    Sognò dapprima le solite cose, i suoi soliti sogni ricorrenti.
    Lontanissime mattine calde e molli, in un posto che si chiamava Cucciolata. Latte caldo, mamma calda, fratellini caldi e molli da spingere e annusare e addentare piano.
    Poi quel dolore fortissimo alle orecchie, forbici che tagliano, ago e filo che cuciono, mani umane che tirano ogni giorno perché guariscano belle dritte, belle a punta, perché le orecchie di un pitbull son piccole corna che devono fare paura.
    Poi infatti fu paura. Ma non quella che faceva lui con quelle orecchie: paura che facevano a lui, gli altri cani, gli umani, i bastoni, le catene, le rapine, i combattimenti illegali. E per paura furono allora morsi e strappi, unghie e zanne, a cani e gatti e bestie e uomini e tutti.
    Questo sognò il cane Bestio, come quasi ogni sua notte, in confusa sequenza: caldo e latte e tagli e sangue, suo e altrui. Morsi e assalti a tutti i nemici adirati con lui. Poi il sogno cambiò: sognò il presente, quello strano giardino, quella vita noiosa e triste degli ultimi mesi. Ogni mattina annusare il tanfo di quella coperta, e poi doverlo andare a cercare nei vialetti, in quelle strane casine fiorite. Dove però si nascondevano... loro!
    Sì, loro: i fratelli!
    Lui lo sapeva che c'erano. Non li aveva visti mai, ma lo sapeva.
    Erano lì, da qualche parte tutto intorno. I suoi fratelli: li aveva ritrovati!
    Li sentiva ma non con le orecchie, li fiutava ma non col naso: con un fiuto più strano e sepolto, che aveva a che fare con quel lontano mondo sepolto caldo e molle chiamato Cucciolata. E anche loro erano caldi e molli, ne era certo: non duri di denti che squarciano e bastone che pesta. E non duri da squarciare coi suoi denti, ma molli da carezzare con la sua linguona triste e solitaria.
    Sognava quasi ogni notte quegli esseri strani, che di giorno si nascondevano fra i vialetti.
    Si voltava di colpo, e forse uno era lì! O forse era stato lì fino a un attimo prima.
    Si nascondevano, volevano giocare! Giocare con lui! Ma lui era stanco e triste, non aveva tanta voglia di giocare. Non voleva giocare a cercarli, voleva vederli! E non li vedeva mai.
    Ma quella notte...
    Il cuore gli fece un tuffo. Dal buio del sogno confuso sembravano emergere piano... alcune forme. Tre, cinque, dieci forme. Forme animali, in cerchio intorno a lui.
    Il tuffo del cuore salì fino in gola: erano loro!
    Il cane Bestio ne era certo: erano i suoi fratelli, e li vedeva!
    Finalmente si erano fatti trovare da lui! Anzi, erano venuti loro a trovare lui! E avevano portato amici, altri animali, non cani ma cuccioli grandi anche loro, anche loro fratelli.
    Bestio nel sogno si alzò, battendo l'aria con la coda forte e felice, senza sapere a chi avvicinarsi per primo. Ma poi di colpo... qualcosa lo bloccò.
    Cosa?
    Serrò le fauci. Mugolò, due volte, incerto.
    Si guardò ancora intorno, fissò i musi degli esseri strani che lo circondavano. E gelò.
    Il mondo intero gli cadde addosso in uno schianto. (...)

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    Mistero e pericolo
    I PELUCHE MEZZOVIVI

    Cap. 7, pag. 86






    Fu in quel punto che sentì un ansimare disperato, uno zampettare affannoso nel vento, e vide Trilly, la porcellina d'India, che arrancava verso di lei a tutta corsa, con gli occhi Àniman stravolti dal terrore.
    «Ginger! Ginger!»
    La poverina non riuscì a frenare, le passò attraverso, dovette tornare indietro per porsi di fronte a lei e finalmente blaterare:
    «Aiuto, Ginger! Ci sono i peluche cattivi! Li ho visti! Li ho visti! Sono terribili, Ginger!»
    «Calma, calmati amica mia! Respira il vento e dimmi che cos'hai visto».
    Trilly riprese fiato, respirò e raccontò. Aveva visto un peluche cattivo. In braccio a una bambina, laggiù. Era un cerbiatto, un bambi. Ma cattivo.
    «Perché dici che è cattivo?»
    «Perché lo è! Ha due occhi cattivi, io lo so! Paurosi, arrabbiati, cattivi!»
    «Va bene, andiamo, mostrami dove sta».
    «Tu sei matta, io lì non ci torno!»
    Ginger dovette insistere, pregare, rassicurare, e alla fine convinse l'impaurita creatura a tornare sul posto. Si incamminarono, Trilly due passi dietro alla gatta, per una serie di svolte fra i vialetti. E infine eccoli: una coppia di nonni e una bambina, che con aria svogliata e scontenta teneva in braccio un cerbiatto di pezza. Ginger si avvicinò.
    L'effetto fu meno violento della prima volta, ma sempre potente.
    Il muso, il volto, o solo quei due occhi. Ginger rivide con un brivido, e stavolta si sforzò di sostenere almeno per qualche secondo, quello sguardo raggiante di furia, disperazione, ostilità, paura, minaccia, implorazione...
    Cattivi? No, non proprio. Trilly aveva un vocabolario dei sentimenti potente e squadrato come un mezzogiorno di giugno: sole e ombre, nessuna penombra di mezzo.
    Non erano proprio cattivi, quei peluche: erano... Cosa erano?
    Non erano veri e non erano finti. Non erano morti e non erano vivi. Cosa erano?
    Erano strani, terribili, paurosi.
    «Dài, Trilly, andiamo via».

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    Tu sei ovunque e tu sei qui
    I GIGANTI DELLA PIOGGIA

    Cap. 6, pag. 69






    La mattina del mercoledì arrivò la pioggia.
    Ginger se ne andava a passettini nel vento per il Giardino, scambiando cenni segreti d'intesa con qualche cane o gatto della Ficcamusi di ronda in incognito, quando vide le prime gocce. Ma prima di vederle, con sua grande sorpresa, le sentì.
    Non le sentì picchiettare e scivolare sulla folta pelliccia, come quando era viva: le sentì dentro. Sentì che l'attraversavano, che bucavano tutto il suo essere fatto di aria, ma non come aghi e chiodi: come vento che passa fra i rami, come carezze. E facevano un bellissimo solletico. Ginger cominciò a ronfare con diletto, e rendendosi conto solo allora che era la prima volta, da quando era lì nel Giardino, che faceva le fusa.
    Si guardò intorno: quasi tutti gli Àniman erano in giro, avevano lasciato le loro occupazioni o sonni o chiacchiere, e si esponevano beati alla pioggia come se fosse al sole, ronfando o gonfiando le piume o scrollandosi a seconda che fossero gatti, uccelli o cani. E ogni tanto qualcuno faceva un salto nell'aria e... spariva!
    Ma che mistero era? Voleva proprio vedere dove andavano a...
    «Ehi! Che fai!»
    Un vecchio cocker aveva preso a scrollarsi accanto a lei, e gli spruzzi d'acqua dalle lunghe orecchie pelose vorticanti esplodevano intorno come una bomba di diamantini rotti, inondandola tutta. Seguendo quella fionda di luce la gatta guardò in alto... e s'impietrì.
    Forme viventi immense fatte di pioggia si muovevano, lente e altissime, fra la terra e le nubi. Figure giganti composte soltanto di gocce, che scintillavano di lampetti cristallini, miriadi di perline trasparenti che muovendosi, avvicinandosi, allontanandosi, formavano i corpi di luce di cani immensi, gatti titanici, uomini e alberi e fiori.
    «Ma... cosa... cosa è questo?» chiese Ginger stupefatta a nessuno di preciso, con gli occhi fissi al cielo. Un colossale cervo di gocce d'argento si girò verso di lei, o così le parve. Poi si rivolse altrove e piegando le zampe spiccò una lentissima corsa. Un uomo di pioggia alto fino alle nubi attraversò il giardino con lento passo: le sue gambe scrosciarono una dopo l'altra come nembi di pioggia più intensa intorno a lei.
    «Sono i Giganti della Pioggia» disse il cocker. «Non li avevi mai visti?»
    «No! Ma... cosa sono, da dove vengono?»
    «Mama Kurma dice che è la Memoria dell'Acqua» rispose il cane, col muso puntato in aria. «Che tutte le forme viventi son fatte d'acqua, cioè... più d'acqua che d'altro. E che l'acqua... almeno così ho capito io... si ricorda di tutte le forme».
    In quel momento passava in cielo, galoppando al rallentatore, un immenso cane fatto di gocce brillanti che assomigliava vagamente a Orson, e che parve volgersi a lei con un sorriso. Ginger lo guardò disorientata, poi domandò:
    «Le forme viventi?»
    «Sì. Tutte le forme di vita che prende e che ha preso, quando piove l'acqua gioca a ricordarle. Ma solo noi Àniman, che siamo anche noi forme di vita passate e presenti, possiamo vederle. E non solo vederle: guarda!»
    Il vecchio cane dalle lunghe orecchie spiccò un salto, e qualcosa di strabiliante accadde sotto gli occhi della gatta: quel salto si prolungò, in alto, sempre più in alto, e al tempo stesso il corpo Àniman del cane si ingigantiva, s'inargentava, esplodeva in un miliardo di gocciole, senza perdere la sua forma... Finché fu un cocker immenso, fatto di pioggia, che torreggiava nel cielo grigio. Si volse in basso verso Ginger, disse qualcosa che lei non sentì, e infine spiccò una corsa al rallentatore potente e festosa, scomparendo in breve tempo nella pioggia.
    La gatta fece un respiro profondo, e una cascata di goccioline solleticanti la attraversò, con una semplice idea gioiosa: 'Ma allora anch'io!'
    Spiccò un gran salto, salì nell'aria e al tempo stesso crebbe, esplose in gocce, immensa, luminosa, e anche lei fu infine pioggia nella pioggia.


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    Questa pagina è stata creata il 24 GENNAIO 2017 e aggiornata l'ultima volta l'11 febbraio 2018


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